MOTO GUZZI NEL MUCCHIOSELVAGGIO



Giovanni Tiberti


Giovanni e Carlo Tiberti

F.LLI TIBERTI In un tranquillo pomeriggio di primavera i fratelli Tiberti, Giovanni e Carlo, di Fontanelle si abbandonano all’onda dei ricordi di quando bambini il loro papà aveva una prima motocicletta, era il 1936 ed il padre possedeva una GV tipo Monza (chiamata così perché aveva corso a Monza), poi loro ragazzi ed infine uomini hanno la loro moto, una Guzzi 500 acquistata ad Ardola per la cifra di 220.000 £;così affezionati alla loro prima moto da ricordare che nel lontano giorno del febbraio del ’52 (Santa Apollonia), quando l’ hanno portata a casa, nevicava e che nel compiere il tragitto sull’argine di Stirone si vedeva soltanto l’impronta della ruota sulla neve. Nel nostro paese il boom della moto fu nell’immediato dopo guerra con l’acquisto da parte di molti del cosiddetto “Guzzino” Guzzi 65; uno dei primi motociclisti a Fontanelle fu Nando Ferri, quello fu accolto come un vero avvenimento perché dopo la guerra le possibilità non erano tante. Tutto il paese si recò a vedere il mezzo per festeggiare e forse anche un po’ per invidiare. Infatti Carlo ci racconta che quando ne passava qualcuno per strada si andava fuori per guardarlo. Con gli anni le possibilità economiche aumentarono e cominciarono ad apparire qualche Guzzi 250, le Guzzi 500 e le Guzzi VV. Da ciò che ci raccontano capiamo che allora la motocicletta non era un lusso o una moda, come può esserlo adesso, ma il mezzo che sostituiva l’auto. Ce lo confermano tanti episodi narrati come quello della “Lea”. Lea era la cagna che Tiberti, per andare a caccia, trasportava sul serbatoio!!!! Inoltre ce lo conferma in modo lampante la storia di Ettore Guareschi che col sidecar svolgeva la sua attività prima di poter comprare un furgoncino. Mezzo di vera e propria utilità era allora, ma la voglia di divertirsi era identica a quella che ci spinge oggi a cercare le mete più disparate. Così nel passato la domenica si faceva la “ciupada”, il gruppo, si era tutti amici e la politica “la ghera mia” (non c’era) e si andava sulla Cisa oppure a Bardi a “magnar un salam” (mangiare un salame). A qualcuno piaceva fare le corse. Così accade che una volta ci fu un ragazzo con una moto (Mival) tutta arrugginita e brutta “la fava schifo” (faceva) …“ a questo gli facciamo vedere noi!!!” ed invece, forse era un meccanico, chi lo sa “Ma la ghava al piston da la festa e iom ciapà na piturada ….” (ma aveva il pistone buono e abbiamo mangiato la sua polvere). Qualcuno aveva la marmitta “dreta” (vuota) ….. perché “ag piaseva al cioc” (gli piaceva il rombo) ….Poi dopo la casa cantoniera “ ghera da spass la stradale” cha firmava i più indisciplinati….ma non si prendeva spesso la multa (come accade oggi) perché i tempi erano diversi e nonostante il deficit economico in cui versava l’Italia, gli agenti non facevano cassetto. Ragazzi non è cambiato niente, o meglio cambiano oggi le disponibilità economiche, ma l’animo del motociclista è identico: la Cisa, le paghe da dare a destra e sinistra i terminali, i posti di blocco da evitare o eludere. I fratelli ci raccontano anche di un viaggio in Francia con la lambretta per turismo e della loro avventura: a Nando Ferri, che aveva il Guzzi 65, si sporcava la testa ed allora via a smontare per riparare …. Ei gente siamo noi… Non cerano i cellulari, ma ci si dava da fare come quando qualcuno nei nostri viaggi di oggi rimane in panne. Il motociclista è una razza che non può estinguersi sono passati 50 anni, ma l’essenza si è tramandata immutata. Negli anni 50’ non c’era la denominazione di mucchioselvaggio, ma i fratelli Tiberti e quelli che allora erano la loro “ciupada” è di diritto la base storica in cui affonda le radici la nostra innata voglia di moto.