A memoria dei nostri nonni in località Santa Caterina di Diolo fu abbattuto sul finire della seconda guerra mondiale un aereo, ma nessuno ne sapeva quasi nulla. Grazie al paziente e intenso lavoro di ricerca del sig. Paolo Bacchini (grande appassionato di aeronautica) oggi si può dare un nome al pilota e sapere i motivi dell’abbattimento del velivolo. Un piccolo reperto del aereo è esposto nel campanile museo di Santa Caterina - Diolo

 

L’ULTIMO VOLO DI RED 3

Testo tratto dal volume pubblicato col patrocinio del comune di Soragna a cura di Paolo Bacchini

Alla ricerca di un nome

Il 12 novembre 1944 a pochi chilometri da Soragna, in località Diolo, nei pressi della chiesa di S. Caterina, cadde, nel corso di un’azione di mitragliamento al suolo, un cacciabombardiere alleato; nell’impatto con il terreno l’aereo si distrusse completamente, il pilota morì sul colpo. Non sono in molti al giorno d’oggi ad essere a conoscenza di questo fatto, anche perché la missione durante la quale avvenne l’incidente era, sì, operativa, ma in tutto simile a quella che, quotidianamente, centinaia di altri velivoli compivano nei cieli d’Europa. L’obiettivo da colpire quel giorno era del tutto secondario e di importanza trascurabile. Il fatto, inoltre, non fu neppure riportato nella cronaca locale della "Gazzetta di Parma". Di che tipo di velivolo si fosse trattato o quale nazionalità avesse il pilota deceduto, rimase per tutti un mistero.
Con il passare del tempo di questo avvenimento si persero quasi completamente le tracce. Solo pochi e confusi ricordi da parte dei testimoni di allora erano rimasti a confermare l’autenticità dell’episodio. Ricordi e null’altro. Non un cippo, una stele o una targa ad indicare il luogo dell incidente. Semplicemente solo qualche anziano che ogni tanto raccontava di quella volta che, più di cinquant’anni prima, era caduto un aeroplano vicino alla chiesa e ". . . accidenti che paura avevamo preso con tutti quei caccia che mitragliavano la strada!".
La prima volta che sentii raccontare di tale episodio fu da mio padre; io ero ancora un ragazzo ma rimasi incuriosito dalla storia di questo aviatore apparentemente senza nome né patria, venuto da chissà dove a morire proprio qui, a pochi passi da casa mia.
Nel corso degli anni, altre volte avrei sentito parlare di questo avvenimento, ma sempre in termini molto imprecisi, se non contraddittori. La mia passione per la storia, e l’aeronautica in particolare, mi spinse infine, una volta cresciuto, a tentare di dare un nome e una patria al misterioso pilota e di scoprire cosa fosse realmente accaduto a Diolo in quel giorno d’inverno del 1944.
Decisi così d’iniziare le mie ricerche che non si prospettavano semplici. (…)
La prima persona che andai ad ascoltare fu Nello Cavalli: "Abitavo, allora, nell’attuale osteria di S. Caterina, presso la chiesa. Di fianco alla casa si trovava un filare di viti nei cui pressi si era accampata una carovana di zingari. Ricordo che avevano dei carri verniciati di fresco, a colori vivaci e, tra il verde della vegetazione, si vedevano da lontano. Mio padre raccomandava loro di non farsi notare troppo dagli aerei che ogni tanto passavano, Aveva paura di incursioni sulle case del paese. Il capo zingaro lo aveva però rassicurato dicendo che altre volte erano stati notati e sorvolati dagli aerei, senza che nulla fosse successo. Quella volta, però, velivoli da caccia, provenienti da est, videro i carrozzoni e, dopo un primo passaggio, ritornarono mitragliando e colpendo i carri degli zingari e i tetti di casa mia. Nessuna persona venne ferita, solo uno dei cavalli che tiravano i carri venne colpito alle gambe e morì poco dopo. Durante l’attacco uno degli aerei che stava puntando verso il campanile della chiesa virò bruscamente per evitarlo. Probabilmente il pilota perse il controllo del velivolo che precipitò ad alcune di centinaia di metri da me, disintegrandosi. Per alcuni minuti i suoi colleghi sorvolarono la zona, poi se ne andarono. Il pilota era stato sbalzato fuori dall’abitacolo, subendo probabilmente serie lesioni interne, visto che il corpo sembrava apparentemente integro; poi arrivarono i tedeschi con i componenti della brigata nera di Roccabianca che mi diedero l’ordine di costruire una bara (io ero falegname). Il pilota fu quindi seppellito con gli onori militari resi dai soldati tedeschi nel cimitero di S. Caterina, qui a Diolo. Finita la guerra, la salma è stata riesumata dagli americani. Sono venuti già sapendo dov’era sepolto il pilota. Hanno preso il corpo e se ne sono andati subito, senza parlare con nessuno. Per quanto riguarda l’aereo, non ricordo nulla, neppure che insegne avesse".
Un’altra testimonianza è quella di Ada Trancossi: "Allora avevo 8 anni, stavo arando i campi con i buoi quando mi accorsi dei quattro aerei. Hanno circuitato alcune volte, poi uno è sceso avvistando un carretto all’inizio della strada che va verso Fontanelle. Mio padre iniziò ad urlarmi di scappare, i buoi però non si mossero, così li lasciai nel campo e mi misi in salvo. L’aereo era sulla strada principale e aveva il campanile e le case alla sua destra, scese sempre più in basso passando a poco più di un metro e mezzo sopra i buoi e andò a schiantarsi poco più in là, facendo una grande fiammata, Mi sembra di ricordare che sulla fusoliera ci fosse una lettera, forse una Y e delle strisce scure. Dopo alcuni giorni andai al cimitero e vidi la tomba del pilota. Allora la gente diceva che fosse tedesco".
A questo punto pensai di rivolgermi al parroco di Diolo per controllare i registri del cimitero. "Ho guardato nei registri della chiesa - mi riferì don Igino Rozzi - ma non vi è alcun riferimento al fatto. Ho chiesto anche alla mia perpetua e lei mi ha detto che l’aereo caduto era tedesco e aveva due persone di equipaggio". Anche nel libro del soragnese Bruno Colombi, "Soragna feudo e comune’ trovai la notizia: ". . . era un caccia tedesco con due piloti". L’assoluta improbabilità però che si trattasse di un aereo della Luftwaffe - in quel periodo quasi totalmente assente dai cieli d’Italia ed impegnata in ben altri compiti che quelli di mitragliare una carovana di zingari - mi lasciò alquanto perplesso sull’affidabilità di certi ricordi. Un’altra testimone mi disse: "Io, allora, ero una ragazzina ed ho assistito all’incidente. Subito dopo l’ impatto, insieme ad altri del paese, andai sul posto e vidi il pilota morto. Sembrava essere biondo, più o meno sulla trentina. Sentii anche qualcuno dire che gli avevano rubato l’orologio. C’era chi affermava fosse inglese, chi canadese".
Le testimonianze raccolte erano, come si vede, molto vaghe. Decisi, così, di andare direttamente alla fonte, contattando i rappresentanti, in Italia, delle nazioni impegnate nel 1944 in possibili operazioni aeree sulla zona emiliana, Per primo telefonai al Consolato canadese di Milano. Dopo alcune settimane di attesa, ricevetti la risposta: nessuna notizia era a loro conoscenza riguardo un pilota canadese deceduto nelle circostanze da me descritte. Successivamente mi rivolsi alla Commonwealth Graves Commission di Roma (ricevendo risposta negativa) e al Bundesarchiv Militararchiv di Friburgo (Germania), la cui documentazione risultò, purtroppo, in gran parte distrutta nel corso di un bombardamento avvenuto negli ultimi giorni di guerra. Sapendo che nel centro-nord Italia aveva operato anche un reparto di cacciabombardieri brasiliano, contattai il Capo Addetto Militare all’Ambasciata brasiliana a Roma. Molto gentilmente prese nota della mia richiesta, richiamandomi in seguito per confermare che nessuno dei loro aerei, in tale periodo, era precipitato nella provincia di Parma.
Ero sconfortato, nessuno sembrava avere notizie di questo velivolo fantasma, ma non per questo volevo dichiararmi vinto: se quel caccia era realmente precipitato a Diolo, e lo era, beh, prima o poi sarei riuscito a scoprirne la provenienza.
Alcuni mesi dopo venni a sapere, tramite mia sorella, che parte dei rottami dell’aereo erano stati recuperati pochi giorni dopo l’incidente da un meccanico di Zibello che riuscii a rintracciare. Si trattava di Nello Dei Prato che così ricordava l’avvenimento: "Ero venuto a sapere che era caduto un aereo, così andai a Diolo a raccogliere, se possibile, dei pezzi di metallo che all’epoca erano molto preziosi. Portai a casa un carro di rottami tra cui un’ala, ma non notai alcun segno di identificazione. Ho esaminato molto bene il motore che era rimasto pressoché intatto. Era a stella, con diciotto cilindri e con un grosso anello dietro ad essi".
Questa descrizione risultava di fondamentale importanza. Non erano molti, infatti, i caccia dotati di motore radiale a diciotto cilindri impiegati nella seconda Guerra mondiale. L’aereo non poteva essere che un P-47 ‘Thunderbolt" impiegato in gran numero nei cieli italiani in quel periodo. Tale scoperta restringeva anche la ricerca sulla possibile nazionalità dei pilota a due sole alternative: Brasile (da cui avevo già avuto risposta negativa) e Stati Uniti.
Quest’ultima soluzione però apriva un altro problema. Proprio il grande utilizzo di tale velivolo rendeva assai complessa l’identificazione dei pilota. Così, provai a controllare i registri del cimitero di Soragna. Quando andai la prima volta, l’addetto comunale che visionò al posto mio i registri mi disse che non vi era nulla. Ora, però, volevo visionarli personalmente. Qui, dopo tanto cercare, trovai ciò che inseguivo inutilmente da molti mesi. Su un foglietto volante, scritto a mano e non catalogato, era riportata la seguente annotazione:
"numero progressivo 150 (pilota nemico americano?) 13.11.44. Campo n. 1, fossa n. 6, fila n. 4. Successivamente riesumato e trasferito al cimitero di guerra a cura delle autorità americane". Finalmente una traccia sicura ed affidabile.
Con queste poche notizie, ma certo di essere ormai sulla strada giusta, telefonai ai Cimitero Monumentale di S. Casciano Vai di Pesa, in Toscana, dove sono ancora sepolti numerosi caduti statunitensi di tutte le armi. Senza altre indicazioni che quelle riportate nei foglietto dei registro di Soragna, non furono, però, in grado di aiutarmi. Mi dissero comunque che molti dei caduti erano stati rimpatriati da tempo. La verità sull’aereo "di nessuno" sembrava nuovamente allontanarsi.
Mi misi, quindi, in contatto con l’Archivio Militare Statunitense situato nella base aerea di Maxwell (Alabama). Dopo aver visionato migliaia di microfilm riguardanti le incursioni alleate sui nord Italia, non riuscii però a trovare alcun utile indizio. Iniziai, perciò, a concentrarmi sui tanti gruppi di caccia americani operanti in Italia nel 1944. La bibliografia e le testimonianze sulla loro attività erano una quantità enorme, ma non per questo mi persi d’animo. Fu proprio leggendo una di queste pubblicazioni specializzate che trovai un elenco di piloti deceduti in Italia nell’anno 1944, due dei quali proprio il 12 novembre. Sentii subito che questa era la volta buona, ormai tenevo la soluzione per la coda.
Ricontattai telefonicamente Ferdinando d’Amico, grande esperto aeronautico, autore di numerosi libri e particolarmente preparato sugli avvenimenti del periodo in oggetto. La prima volta che ci eravamo sentiti, con i pochissimi dati che ero stato in grado di fornirgli, non aveva potuto aiutarmi. Questa volta era diverso: avevo a disposizione due nomi. Dopo aver controllato tra i suoi documenti mi chiese: "Il nome Diolo - S. Caterina le dice niente?", "Tutto" risposi io. ERA FATTA! L’aereo fantasma, dopo più di cinquant’anni, aveva finalmente un pilota e una nazionalità.
Si trattava del S.Ten. Garwin Clayde Pape nato il 27 giugno 1920 a New Braunfels, Texas, numero di matricola 0692187, appartenente al 345th Fighter Squadron del 350th Fighter Group che operava all’interno della 12th Air Force statunitense. Il velivolo con cui aveva compiuto la sua ultima missione era un cacciabombardiere monoposto P-47 D-26 "Thunderbolt", numero di serie 42-28346. Il corpo del pilota, riesumato dal cimitero di Diolo il 10 luglio 1945, venne sepolto nel cimitero militare americano di Mirandola (MO) l’11 luglio 1945. Alcuni anni dopo, esattamente il 25 luglio 1949, le spoglie del S. Ten. Pape furono riportate in patria, dove vennero definitivamente tumulate nel Sam Houston National Cemetery di San Antonio, Texas. (…)

Quel giorno d’inverno

Il mese di novembre del 1944, a dispetto delle non ottimali condizioni meteorologiche, vede il 350th FG costantemente impegnato, con le sue quattro squadriglie in missioni di attacco al suolo. Il 345th Squadron, sotto il comando del T. Col. Andrew R. Schindler (che verrà abbattuto sopra il cielo di Padova il 25 marzo 1945) partecipa a pieno regime a tale attività.
La mattina del 12 novembre, alle 07:55, agli ordini del Magg. Lee C. Wells, dall’aeroporto di Tarquinia decolla una formazione di 12 P-47 D composta da tre sezioni (Lead, Red e Blue). Di quella identificata da nominativo "Red" e condotta dallo stesso Magg. Wells, fa parte, volando in posizione n. 3, il S. Ten. Garwin C. Pape. Insieme a lui completano la formazione il S. Ten. Marius A. Bugnand, Red 2, e il S. Ten. Darwin O. Brooks, Red 4. Obiettivo della missione è il ponte ferroviario di Colomo. Giunti sul posto i velivoli trovano però il ponte già distrutto. Il tempo sul parmense è comunque buono, discreta la visibilità. La copertura delle nubi, quasi complete, ha un ceiling molto alto, intorno ai 14.000 piedi (più di 4 chilometri), Si decide quindi di ripiegare sul previsto obiettivo secondario, un ponte stradale sul fiume Taro tra Ronco Campocanneto e CastellAicardi. Colpitolo e con ancora parecchio carburante a bordo, la missione viene proseguita come ricognizione armata. Le sezioni si separano perciò in tre gruppi distinti di quattro Thunderbolt, ciascuna alla ricerca di un proprio bersaglio pagante. La loro attenzione si concentra principalmente sulla individuazione di eventuale traffico militare che in quel momento possa trovarsi a transitare sulle strade o sulle ferrovie della bassa parmense.
Mentre sorvolano il paese di Diolo, l’attenzione degli uomini della formazione "Red" è attratta dai carri di alcune famiglie di zingari fermi ai bordi della strada, al parziale riparo di alcune case, scambiatili per un obiettivo militare viene deciso il loro mitragliamento. Nel corso del secondo passaggio, il primo a fuoco, qualcosa va storto. Probabilmente troppo concentrato nel non perdere di vista il bersaglio e nel prendere la mira, il terzo velivolo della squadriglia, ‘Red 3", condotto dal 5. Ten. Pape, non si accorge che sta puntando verso il campanile della chiesa di S. Caterina. Quando il pilota se ne rende conto è ormai troppo tardi. Con una brusca manovra tenta invano di richiamare il proprio velivolo, ma ne perde il controllo. La bassissima quota a cui sì trova non lascia scampo. Nell’estremo tentativo di evitare l’edificio, con le ali inclinate in un’ultima disperata virata, il pesante aereo picchia contro il suolo. L’ impatto è tremendo. Per il pilota non vi è alcuna possibilità di salvezza. Sono le 9:50. Il destino del 5. Ten. Garwin C. Pape si è compiuto. I suoi tre colleghi sorvolano per alcuni minuti il luogo dell’incidente nella speranza che un eventuale miracolo possa avere salvato la vita del loro compagno; quindi rientrano rassegnati alla base. 
Queste le loro testimonianze contenute in un fascicolo trasmesso il 14 novembre 1944 dal Quartiere Generale del 350th FG al Comando Generale del 62nd Fighter Wing, stormo di appartenenza del reparto. Maggiore Lee C. Wells: "Il 12 novembre 1944, 12 P-47 del 345th Fighter Squadron, 35Qth Fighter a Group (AFF) sono decollati alle 07:55 per bombardare un ponte ferroviario in area F 1500. Una volta raggiunto è stato trovato 3 già distrutto da un precedente bombardamento. I velivoli sono allora passati ad un obiettivo secondario, un ponte stradale in area L 0499. Dopo il bombardamento, i velivoli hanno proseguito in ricognizione armata su strade e ferrovie nemiche. La missione era stata autorizzata dall’Ufficio Operazioni del 345th Fighter Squadron, con i nominativi radio di Life Time Lead, Red e Blue per le tre sezioni di volo. Undici aerei sono rientrati dalla missione e le testimonianze di Red 1, 2 e 4 sono state raccolte riguardo al velivolo e pilota mancante.
L’obiettivo era il ponte ferroviario a nord di Parma, sito in area F 1500. Comandavo la formazione Red e il S. Ten. Pape volava in posizione da n. 3. Raggiunto l’obiettivo è stato trovato distrutto da un precedente bombardamento. Ho allora immediatamente diretto i velivoli sull’obiettivo secondario: un ponte stradale sito in area L 0499. Dopo averlo bombardato, la formazione si è scomposta in tre gruppi per mitragliamento. Ho condotto la sezione "Red" a nord-ovest dell’obiettivo, dove abbiamo scorto numerosi carri e automezzi. Dopo avere sorvolato in cerchio il paese di S. Caterina, ho visto il S. Ten. Pape abbassarsi per mitragliare un carro con rimorchio che si trovava all’interno del paese. Nella fase di richiamata, l’ala destra del suo aereo ha urtato contro il campanile di una chiesa; tale urto ne ha causato la perdita del controllo. Ha cercato di rimettersi in linea di volo, ma era troppo basso e il velivolo ha impattato con il terreno. La sua velocità era di circa 150 nodi (intorno ai 270 km/h). Il velivolo è esploso sparpagliando rottami su un’area di approssimativamente 500 yarde quadrate (poco più di 400 mq). Ho sorvolato la zona per circa cinque minuti, ma non c’era alcuna possibilità per il S. Ten. Pape di sopravvivere all’urto contro il suolo. La formazione "Red" allora è rientrata alla base".
S. Ten. Marius A. Bugnand: "Il S. Ten. Garwin C. Pape volava in posizione di numero 3 in una formazione di dodici aerei diretta a bombardare un ponte ferroviario nell’area F 1500. Il ponte era già stato danneggiato così il comandante ha deciso di bombardare il ponte stradale nell’area L 0499. Dopo il bombardamento la sezione ‘Red" si è portata a bassa quota per mitragliare dei veicoli militari. Abbiamo mitragliato un’auto a est di S. Caterina e mentre richiamavo il mio aereo ho visto il S. Ten. Pape in picchiata puntare un carro con rimorchio al centro di S. Caterina. Nel richiamare dopo il mitragliamento il S. Ten. Pape ha urtato un campanile nel mezzo del paese, perdendo momentaneamente il controllo del suo aereo, ed, essendo troppo basso, ha sbattuto contro il suolo. Le sue mitragliatrici stavano ancora sparando, quando è precipitato; per cui ritengo che non si fosse ferito dopo il contatto con il campanile, ma stesse cercando di uscire dall’affondata mantenendo al tempo stesso premuto il pulsante di sparo. L’aereo del S. Ten. Pape è esploso nell’impatto con il terreno. Non vi erano possibilità di sopravvivenza per il pilota. Il resto della sezione ha sorvolato il punto per cinque minuti. Non vi era contraerea nelle immediate vicinanze del paese".
S. Ten. Darwin O. Brooks: "Il 12 novembre 1944 volavo come "Red 4" in una formazione di 12 velivoli. Il mio element leader (l"element" è la più piccola sezione in cui può essere suddivisa una formazione essendo composta da soli due aerei, un leader e un gregario) era il S. Ten. Pape che volava come "Red 3". Dopo avere bombardato un ponte in area L 0499 la formazione "Red" si è diretta verso nord-ovest per mitragliare dei mezzi militari, Ci trovavamo a circa 800 piedi di quota (circa 240 metri) quando "Red 3’ ha scorto un obiettivo nella città di S. Caterina. Ha fatto una virata a sinistra e si è gettato in una rapida picchiata puntando l’obiettivo. Dopo avere sparato una breve raffica, ha iniziato a richiamare l’aereo. Ha urtato un campanile perdendo il controllo del velivolo ed è precipitato in un campo a sud-est del paese. L’aereo è esploso bruciandosi". Come si può constatare vi sono alcune e non trascurabili * differenze tra tali testimonianze e quanto invece riferitomi da chi ebbe la possibilità di seguire gli avvenimenti da terra. La principale di queste è certamente data dalla identificazione dell’obiettivo attaccato dalla sezione "Red".
Infatti Nello Cavalli e Ada Trancossi - e non vi è motivo per non credere loro - parlano di "carovana di zingari con i carri riverniciati di fresco" e di "un carretto", mentre nelle relazioni dei piloti questi vengono invece descritti, come sottolineato nella traduzione, "motorized transport trailer" (S. Ten. Bugnand), "several cars and trucks" (Magg. Wells), "motorized transport" (S. Ten. Brooks). D’altro canto non si può ritenere che la formazione, pur riconoscendo nella carovana un gruppo di carri a trazione animale, abbia pensato ad essi come ad un trasporto di merci di interesse militare, Il termine impiegato per indicare simili obiettivi era infatti "horse/ox cart/vehicle, ma in nessuna delle relazioni compilate appare una simile definizione.
Da escludere anche la possibilità che la carovana di nomadi fosse accampata nei pressi di qualche veicolo dell’esercito tedesco o repubblicano, cosa questa che avrebbe potuto generare confusione nella identificazione e scelta del bersaglio da parte dei piloti americani. Nessuna delle persone da me interpellate, ha infatti mai accennato ad una eventuale presenza quel giorno a Diolo, né di mezzi militari né di autocarri civili adibiti al trasporto di merci o persone.
Come la formazione "Red" abbia perciò potuto scambiare una carovana di zingari accampata lungo la strada per una colonna nemica di trasporti motorizzati, rimane un mistero. Questo anche considerando come la mancanza di attività contraerea e la latitanza di qualsiasi minaccia proveniente dal cielo avrebbero concesso ai velivoli del 345th FS tutto il tempo necessario per un positivo riconoscimento di un eventuale obiettivo. Una frettolosa ed erronea identificazione da parte dei piloti dei mezzi raggruppati nei pressi del campanile di S. Caterina a Diolo, rimane perciò l’ipotesi più probabile a giustificazione di un attacco altrimenti incomprensibile.
La seconda contraddizione tra le varie testimonianze si rivela intorno alla dinamica dell’incidente occorso al S. Ten. Pape. Nelle loro relazioni tutti e tre i piloti della formazione "Red" per descrivere l’accaduto utilizzano la medesima frase: "il S. Ten. Pape perse il controllo del proprio velivolo perché "struck a church steeple" (ha colpito/urtato il campanile di una chiesa). L’impiego del verbo ‘to strike" non lascia molti dubbi riguardo all’avvenuto contatto tra edificio e velivolo. Eppure nessuna delle persone da me interrogate ha menzionato tale fatto, Bisogna anche sottolineare come il P-47 "Thunderbolt" fosse un velivolo estremamente solido e pesante. Qualsiasi urto, anche leggero, avrebbe sicuramente lasciato qualche segno, se non dei notevoli danni al campanile. Invece nessun lavoro di manutenzione e consolidamento risulta effettuato nei periodi successivi al 12 novembre 1944. Il campanile perfettamente integro, è ancora oggi visibile di fianco al cimitero di Diolo.
Come spiegare tale contraddizione? La distanza da cui i componenti della formazione hanno dovuto osservare lo svolgersi dell’azione, dovendo contemporaneamente dedicare la loro attenzione anche alla condotta del velivolo e al puntamento del bersaglio prescelto, può effettivamente averli indotti in errore. L’aereo passò cioè molto vicino al campanile sfiorandolo, ma non lo toccò. L’incidente occorso a "Red 3" fu, molto probabilmente, dovuto non ad un urto, ma ad una manovra eccessiva e scoordinata del pilota. L’essersi improvvisamente trovato un ostacolo sulla linea di volo può infatti avere portato il S. Ten. Pape ad agire sulla cloche in maniera violenta, irrigidendosi sui comandi, questo spiegherebbe anche perché abbia continuato a premere il pulsante di sparo delle mitragliatrici, posto sulla cloche, fino al momento dell’ impatto contro il suolo. Il tentativo di cabrare e/o virare il più rapidamente possibile può avere portato l’aereo vicino, se non oltre, i propri limiti aerodinamici, La bassa velocità a cui il velivolo si trovava non ha di certo facilitato la manovra di rimessa, rendendo invece assai probabile il verificarsi di un stallo o di uno stallo di virata. A questo punto, trovandosi a pochi metri dal suolo, non era più possibile riprendere il controllo dell’aereo. L’incidente era inevitabile. Questo quindi, nei pochi fatti che sono riuscito ad appurare, è ciò che è accaduto a Diolo di Soragna. Non credo di distanziarmi dal vero nell’affermare che gli avvenimenti di queI 12 novembre ‘44 siano semplicemente il risultato di una serie di imprecisioni di valutazione e di condotta. Una fatale catena di errori alla quale il S. Ten. Garwin C. Pape, purtroppo, non ha avuto alcuna possibilità di rimediare e che lo ha reso nulla più di un nome tra tanti che, nel corso della Seconda Guerra Mondiale, hanno perso la vita nell’adempimento del loro dovere. (…)