GIUSEPPE VERDI

Nato a Le Roncole, vicino a Busseto (Parma), il 10 ottobre 1813 da un oste e da una filatrice, Giuseppe Verdi manifestò precocemente il suo talento musicale, come testimonia la scritta posta sulla sua spinetta dal cembalaro Cavalletti, che nel 1821 la riparò gratuitamente "vedendo la buona disposizione che ha il giovinetto Giuseppe Verdi d'imparare a suonare questo istrumento".
Nella chiesa di Madonna dei Prati Verdi imparò i primi rudimenti musicali da don Paolo Costa, in una piccola aula della canonica. Questo santuario è legato al nome del Maestro anche per un avvenimento che potrebbe sembrare quasi leggendario. Il giovane Verdi serviva messa nella chiesa come chierichetto, quando un giorno, rapito dalla musica emessa dall'organo, venne ripreso dal celebrante don Masini con una pedata che lo fece ruzzolare ai piedi dell'altare. Il ragazzo indispettito da questo duro atteggiamento, replicò in dialetto imprecando contro il sacerdote e lanciandogli una maledizione: "Ch'at vena na saièta!" (Che tu venga fulminato). La sera del 14 settembre 1828 un terribile temporale si abbatté sul paese, impedendo al giovane Verdi di raggiungere il Santuario dove doveva accompagnare i Vespri con l'armonium. Durante la celebrazione un fulmine entrò nel Santuario uccidendo quattro sacerdoti, tra cui don Masini, e due cantori, tra cui il cugino di Verdi.
Certo l’augusta immagine del maestro Giuseppe, detto familiarmente Beppino, è ancora presente a Roncole e nessuno la scollerà, cambiasse il mondo.
 

Il maestro invece, quando fu raggiunto dalla fama e dall’agiatezza, preferiva girare allargo, dopo che la casa era diventava la meta di ripetuti pellegrinaggi. Tentò invano di acquistarla, per demolirla e impedire quello che riteneva un ossequio eccessivo; ma anche per un’altra ragione. Tornare alle Roncole significava tornare all’infanzia, che non era stata per lui la cosiddetta età dell’oro.I Verdi gestivano un esercizio misto, osteria e bottega, con generi di monopolio e drogheria. Il locale, affollato di vetturali, viaggiatori, cantastorie, ambulanti, accattoni, cantori da messa, sfaccendati e preti, poteva anche essere divertente per Beppino.
Tanto più che, suonando con abilità una modesta spinetta, suscitava le approvazioni dei clienti. Ma quel genere di successo non gli bastava, doveva guadagnare un po’ di moneta ancora prima della maggiore età. Così prese a suonare l’organo nella chiesa di Roncole, San Michele e, quando cominciò a frequentare le scuole a Busseto (dove sviluppò la sua formazione culturale ed umanistica avvenne soprattutto attraverso la frequentazione della ricca Biblioteca della Scuola dei Gesuiti a Busseto, tuttora in loco. I principi della composizione musicale e della pratica strumentale gli vennero da Ferdinando Provesi, maestro dei locali Filarmonici), gli toccava di correre nelle festività in parrocchia alle Roncole ad accompagnare le funzioni. Si alzava presto la mattina, che era ancora notte, e via a piedi, levandosi le scarpe per non consumarle. Col buio gli capitava anche di non vedere la strada e una volta cadde in un fosso pieno d’acqua e rischiò di finir male, se un contadino non lo salvava. Ma non appena salito lassù in cantoria, nello spazio ristretto fra la panca e la tastiera dello strumento, ritrovava la sua vena. L’organo di San Michele ha una voce splendida.

Vita dura per un ragazzino, finché non incontrò l’aiuto e l’accoglienza di Antonio Barezzi, un facoltoso commerciante bussetano, suonatore per diletto. Allora Verdi, ormai diciottenne, si sistemò da lui, come uno di famiglia, nel palazzo signorile che si affaccia sulla piazza. Di carattere fermo e determinato, dava affidamento anche come custode alla signora Barezzi, che aveva paura a star sola coi bambini durante le assenze del marito, da quando i ladri avevano assassinato un vicino.
Il signor Antonio riuniva un complesso di strumentisti e cantori, i Filarmonici, nell’ampio salone dove oggi ha sede la benemerita associazione "Amici di Verdi". Qui il giovane musicista fece pratica. Componeva, dirigeva e i Filarmonici gli volevano tanto un bene che si batterono perché fosse nominato insegnante nella Scuola di musica e organista principale. Ne venne fuori una contesa fra opposte fazioni da Medioevo comunale, e ci fu chi la mise in berlina, componendo un poema burlesco-ornitologico, dove si azzuffano uccellacci e uccellini. Verdi è paragonato a un pappagallo e per chi ha presente la sua figura da giovanotto non potrà che approvare il confronto. Siccome la disputa disturbava anche le messe e i vespri, la Signora del ducato, la duchessa Maria Luigia, punì i partigiani di Verdi, i Filarmonici, anche se non erano i soli responsabili, e proibì loro di suonare nelle chiese, prima fra tutte la solenne collegiata (ammirevole luogo, con affreschi e tele di Michelangelo Anselmi, Luca Giordano, Camillo Procaccini).
Per farsi ascoltare come organista, e accontentare i suoi ammiratori, Verdi dovette suonare in un memorabile concerto, che sapeva di sfida, a Santa Maria degli Angeli nel convento dei Francescani, presso la maestosa residenza aristocratica dei Pallavicino.
Nel ‘36, nella graziosa cappella a fianco della collegiata, sposò una figlia di Barezzi, Margherita. Gli sposini, dopo la morte della loro prima figlioletta, si trasferirono nel ‘38 a Milano, dove anche Margherita e un secondo piccino morirono.
Fu a Milano che avvenne la formazione della sua personalità. Non ammesso a quel Conservatorio (per aver superato i limiti d'età), per la durata di un triennio si perfezionò nella tecnica contrappuntistica con Vincenzo Lavigna, già "maestro al cembalo" del Teatro alla Scala, mentre la frequentazione dei teatri milanesi gli permise una conoscenza diretta del repertorio operistico contemporaneo. L'ambiente milanese, influenzato dalla dominazione austriaca, gli fece anche conoscere il repertorio dei classici viennesi, soprattutto quello del quartetto d'archi. I rapporti con l'aristocrazia milanese e i contatti con l'ambiente teatrale decisero anche sul futuro destino del giovane compositore: dedicarsi non alla musica sacra come maestro di cappella, o alla musica strumentale, bensì in modo quasi esclusivo al teatro in musica.
La prima sua opera, nata come Rocester (1837), frutto di lunga elaborazione, e poi trasformata in Oberto, conte di San Bonifacio, venne rappresentata alla Scala il 17 novembre 1839, con esito tutto sommato soddisfacente.
L'impresario del massimo teatro milanese, Bartolomeo Merelli, gli offerse un contratto per altre due partiture: Un giorno di regno (Il finto Stanislao), opera buffa, ebbe una sola rappresentazione (5 settembre 1840), e solo con Nabucco, la cui prima ebbe luogo il 9 marzo 1842, il talento verdiano si rivelò appieno. Il modello dello spettacolo grandioso, dove la vicenda è disegnata a grandi tinte, si ripete nell'opera successiva, I lombardi alla prima crociata (Milano, Scala, 11 febbraio 1843); ed è con Ernani (Venezia, La Fenice, 9 marzo 1844) che l'esperienza drammatica si concretizza nel conflitto tra le passioni dei personaggi. Questa scelta stilistica prosegue con I due Foscari (Roma, Teatro Argentina, 3 novembre 1844), ed è ulteriormente raffinata in Alzira (Napoli, San Carlo, 12 agosto 1845). Tutte le opere della prima fase creativa verdiana si differenziano fra loro perchè in ciascuna di esse viene esplorato questo o quel particolare aspetto dell'esperienza drammatico-musicale. Così, in Giovanna d'Arco, dalla tragedia di Schiller (Milano, Scala, 15 febbraio 1845), l'elemento soprannaturale gioca un ruolo determinante nella vicenda, di nuovo attagliata soprattutto sul grandioso; mentre in Attila (Venezia, La Fenice, 17 marzo 1846) la sperimentazione riguarda tanto la spettacolarità sulla scena quanto l'organizzazione complessiva dei singoli atti che compongono la partitura. Con Macbeth (Firenze, La Pergola, 14 marzo 1847) Verdi affronta per la prima volta un modello shakespeariano, e soprattutto mette in evidenza le connessioni drammaticamente rilevanti tra momenti cruciali della vicenda, e questo con mezzi esclusivamente musicali.
A trentaquattro anni il compositore ha ormai raggiunto una fama internazionale; le sue opere si rappresentano con frequenza in tutti i teatri del mondo, e vengono commissionate dai principali teatri italiani.
Ma questo a Verdi non basta. La trasformazione de I lombardi in Jérusalem (Parigi, Opéra, 26 novembre 1847) costituisce il primo incontro con le esigenze (ma anche con gli imponenti mezzi a disposizione) del grand opéra francese, e di questa esperienza sono evidenti le tracce ne La battaglia di Legnano (Roma, Argentina, 27 gennaio 1849), in cui conflitti individuali ed aspirazioni patriottiche, sollecitate dal contemporaneo esplodere dei moti risorgimentali, si alternano nella partitura. Con Luisa Miller (Napoli, San Carlo, 8 dicembre 1849), di nuovo su modello schilleriano, i conflitti si spostano anche tra differenti livelli sociali, alla fine dei quali l'innocenza soccombe.
Verdi tornò a Busseto nel 1849, da Parigi, con un’altra compagna, la cantante Giuseppina Strepponi, e abitò sulla via Maestra, nel palazzo Orlandi, acquistato nel ‘45, di aspetto moderno per allora e affiancato a edifici importanti, il quattrocentesco palazzo del vecchio Comune, i seicenteschi Monte di Pietà e Ospedale.
Nel ‘51 Verdi e la Strepponi traslocavano nel podere di Sant’Agata, a tre chilometri da Busseto, dove rimasero stabilmente, quando non viaggiavano per lavoro o soggiornavano a Parigi e d’inverno quasi sempre a Genova. A Sant’Agata, fra l’altro, si sentivano al riparo dalla curiosità maligna di coloro che in Busseto mormoravano sulla Strepponi, una donna di palcoscenico dai trascorsi burrascosi. Verdi ebbe modo di arrabbiarsi anche con Barezzi, siccome non prendeva le distanze dai chiacchieroni. E nel salotto della marchesa Pallavicino, che si permise un’osservazione di troppo sulla cantante, sbattendo la sedia proruppe: "Io in casa mia faccio quello che voglio !". Era nato un nuovo padrone e non ammetteva che gli mancassero di rispetto.
A Sant’Agata introdusse numerosi ampliamenti. Trasformò quella che era una semplice casa colonica in una dimora padronale. Infoltì e abbellì il giardino di piante rare e pregevoli, qualcuna battezzata col nome di una sua opera. Aveva fatto fortuna con le opere e avrebbe continuato a farne per altri quarant’anni.
Un’esistenza da patriarca non certo avara di soddisfazioni, tuttavia molto impegnativa e regolata da scadenze inflessibili: dalle note musicali alle note amministrative di vasti possedimenti. Accanto alla carta pentagrammata, il registro di carico e scarico, le ricevute, il quaderno dei conti e la corrispondenza che, assente il telefono, ci è pervenuta in quantità enorme. Giuseppe e Giuseppina scrivevano tantissime lettere, cartoline, telegrammi, con una cura e una tempestività che lasciano senza fiato. Verdi ha una grafia nervosa, rapida, impulsiva; lei traccia con elegante dignità, ma senza fronzoli.
A Busseto continuò ad andarci il meno possibile. Volevano anche intitolargli il piccolo teatro, renderlo partecipe delle stagioni liriche, ma lui rifiutò e durante l’inaugurazione se ne andò in vacanza, perché riteneva che un locale così striminzito non facesse buoni affari.
Verdi e Giuseppina Strepponi, si sposarono soltanto il 29 agosto 1859 a Collonges-sous-Salève, in Savoia, in assoluto segreto. Non ebbero figli e decisero di allevare la piccola Maria Filomena Verdi, la figlia di un povero cugino delle Roncole, poi nominata erede universale.
Con Stiffelio (Trieste, Teatro Grande, 16 novembre 1850) l'ambientazione borghese di una setta religiosa mette in luce il conflitto tra i sentimenti individuali e il dovere che la carica spirituale impone. Con Rigoletto (Venezia, La Fenice, 11 marzo 1851) l'arte verdiana raggiunge uno dei suoi vertici più alti grazie alla perfetta concatenazione drammatica (frutto anche della fedeltà al modello di Victor Hugo), realizzata con altrettanto perfetto equilibrio dei mezzi musicali impiegati: la vendetta del buffone di corte per l'oltraggio inflitto dal duca libertino alla figlia ricade spaventosa su di lui tra lo scatenarsi degli elementi naturali in tempesta. Sempre sulla dimensione degli individui si atteggia La traviata (Venezia, La Fenice, 6 marzo 1853), partitura accentrata sull'eroina, una cortigiana che alle convenzioni ipocrite della società in cui vive oppone il totale sacrificio di sé. A queste due vicende direzionali, nelle quali lo sviluppo dell'azione avviene con un ritmo intensissimo, si contrappone quella del Trovatore (Roma, Teatro Apollo, 19 gennaio 1853), ricavata dall'omonimo dramma di García Gutiérrez, in cui le motivazioni che determinano lo svolgimento dell'azione sono continuamente eluse; l'azione drammatica si sublima costantemente nel gesto musicale, realizzando una forma di teatralità pura per la quale non esistono modelli o confronti.
All'esperienza del grand opéra Verdi ritorna con Les Vêpres siciliennes (Paris, Opéra, 13 giugno 1855), affrontando per la prima volta le esigenze della declamazione in lingua francese, e mettendo a confronto ancora una volta conflitti tra individui con aspirazioni e sentimenti di un intero popolo. Oltre alla traduzione del Trovatore in Trouvère e l'impoverita trasformazione (soprattutto per esigenze di censura) di Stiffelio in Aroldo, con Simon Boccanegra (Venezia, La Fenice, 12 marzo 1857) Verdi sperimenta in maniera nuova tematiche e opposizioni politiche, mentre con Un ballo in maschera i conflitti sono in primo luogo all'interno di ciascuno dei principali personaggi, e sono rappresentati attraverso un gioco costante di simmetrie di situazioni e di travestimenti che trovano corrispondenza nelle continue variazioni della cellula ritmica che sta alla base dell'intera partitura. Analoga sperimentazione strutturale ritorna ne La forza del destino (San Pietroburgo, Teatro Imperiale, 10 novembre 1862) dove ancora una volta le improbabili peripezie degli individui e le loro sofferenze si stagliano contro l'indifferenza delle scene collettive.
Il ritorno all'orbita francese porta alla riscrittura di Macbeth (Paris, Théâtre Lyrique, 21 aprile 1865) e alla composizione di Don Carlos (Paris, Opéra, 11 marzo 1867), dove le esigenze spettacolari del genere vengono piegate alle necessità della più complessa fra tutte le realizzazioni drammatiche verdiane: i conflitti tra gli individui - e al loro interno - sono connessi tra loro in una vorticosa spirale, nella quale la concezione politica liberale del Marchese di Posa si confronta con quella assoluta di Filippo; ma su di entrambe prevale il potere della Chiesa impersonato dal Grande Inquisitore.
Verdi, si sa, non fu soltanto un compositore grandissimo, fu un personaggio pubblico, uno dei padri del Risorgimento, al quale contribuirono anche le sue opere teatrali. Lo scrisse bene Fogazzaro; "Nell’onda della musica ardente di Verdi, inafferrabile al nemico, l’idea nazionale corse dalle Alpi al mare".
Dopo l’unità fu eletto al parlamento del 1861, e lui, che era stato repubblicano, sostenitore di Mazzini e Garibaldi, entrò in ottimi rapporti con Cavour
. Del ministro piemontese stimava, oltre alle qualità eccezionali dell’uomo di governo, la competenza di agronomo. Verdi che su richiesta di Cavour aveva composto l'Inno delle nazioni per l'inaugurazione dell'Esposizione universale di Londra del 1862, vide con crescente preoccupazione l'assenza di un sentimento di appartenenza nella nazione appena creata; e non cessò di additare modelli nei quali riconoscere un patrimonio culturale comune; alla morte di Rossini (13 novembre 1868) propose una Messa da Requiem, omaggio collettivo dei maestri italiani al massimo esponente dell'arte loro (1869) e, rielaborando La forza del destino, scrisse una Sinfonia la cui articolazione è modellata su quella del rossiniano Guglielmo Tell.
La creazione di Aida (Il Cairo, Teatro dell'Opera, 24 dicembre 1871), voluta come opera "nazionale" egiziana da Ismail Pascià, portò ad una originalissima interpretazione, in chiave italiana, delle esigenze spettacolari e drammatiche del grand opéra; ancora una volta in quest'opera il conflitto tra il potere e l'individuo porta all'annientamento di quest'ultimo attraverso una caleidoscopica alternanza di esperienze stilistiche, musicali e spettacolari.
Davanti al diffondersi in Italia della musica strumentale d'Oltralpe Verdi reagì componendo un Quartetto (Napoli, 1 aprile 1873) per dimostrare che sapeva combattere il "nemico" con le sue stesse armi e, alla morte di Alessandro Manzoni, decise di comporre lui stesso, sviluppando il già fatto nell'ultimo movimento della collettiva Messa per Rossini, un Requiem, che di quella composizione ritiene l'articolazione testuale e l'alternanza di spessori sonori.Ma il Requiem, ulteriore messaggio politico che identifica nel destinatario la massima gloria letteraria contemporanea e in Palestrina il modello storico secondo il quale si svolgono alcuni momenti cruciali della partitura, è una solitaria, totalmente soggettiva, meditazione sul mistero della morte, con tensioni costantemente frustrate verso una trascendenza avvertita come improbabile.
Ad un periodo piuttosto prolungato di apparente stasi ed inattività creativa seguirono il radicale rifacimento del Simon Boccanegra (1880-81), che segna fra l'altro l'inizio della collaborazione con Arrigo Boito, e la trasformazione di Don Carlos da grand opéra in cinque atti ad opera italiana (Milano, Scala, 10 gennaio 1884). Con la composizione di Otello (Milano, Scala, 5 febbraio 1887) Verdi riporta il dramma al livello dell'individuo - il protagonista - che si dibatte e soccombe tra l'astrazione assoluta del bene - Desdemona - e quella del male - Jago -. Se in Otello sono ancora riconoscibili, pur nel flusso continuo del discorso sonoro e drammatico, nuclei statici nei quali si intravedono le forme musicali chiuse del passato, in Falstaff, l'estrema fatica operistica verdiana, l'azione si trasforma in puro gioco dell'intelletto, al quale corrisponde un altrettanto sottile e raffinato procedere di simmetrie sonore.
La parabola artistica di Verdi si chiuse con la composizione dei tre pezzi sacri, uno Stabat Mater ed un Te Deum per coro e grande orchestra, che incorniciano la preghiera alla Vergine dall'ultimo canto della Divina commedia, affidato a quattro voci femminili soliste e, a questi tre brani venne in seguito aggiunta, all'inizio, un'Ave Maria per coro a cappella, composta precedentemente. Anche qui, come nel Requiem, le aspirazioni ad una trascendenza si alternano ad una visione pessimistica della realtà umana, la sola alla quale Verdi crede veramente. E per i musicisti anziani Verdi dà vita in Milano ad una casa di riposo che egli definirà "l'opera mia più bella".
Verdi morì a Milano all'alba del 27 gennaio 1901 nella camera del suo appartamento al Grand Hotel et de Milan. I funerali in forma semplice, il 30 gennaio, per la sepoltura al Cimitero Monumentale furono seguiti da quelli solenni, il 26 febbraio, per il trasporto della salma sua e di Giuseppina nella Cappella della Casa di Riposo per Musicisti. La morte di Verdi segna la conclusione di un'era della vita italiana; l'apoteosi del suo funerale coincide invece con l'inizio della parabola crescente della fortuna dell'opera sua, mai come oggi viva ed attuale sulle scene di tutto il mondo.