GIOVANNI FARABOLI 1876 - 1953
Testo tratto dalla tesi di laurea del dott. RAUL ODDI anno accademico 1997 - 1998
![]() Monumento dedicato a Giovanni Faraboli che si trova nella piazza principale di Fontanelle |
Giovanni Faraboli è forse uno dei nomi meno famosi in campo nazionale fra i
tanti sindacalisti che ad inizio secolo hanno firmato le prime conquiste sociali
del proletariato italiano: basta però pronunciare il suo nome a un parmigiano
qualsiasi e tutti lo ricordano come "quello delle cooperative".
Sindacalista riformista, socialista di ispirazione "prampoliniana" da
sempre, ha cullato per tutta la vita "il sogno" della cooperativa
integrale quale soluzione ai problemi economici che affliggevano la società del
suo tempo: solo attraverso l’adesione convinta della maggior parte della
popolazione a tale tipo di organizzazione (che quindi doveva abbracciare tutti
gli aspetti della vita economica e sociale) avrebbe raggiunto il risultato e da
qui la sua opera di proselitismo costante, infaticabile per tutta la sua vita.
La "storia" di G. Faraboli è dunque, prima ancora che quella di un
politico, o di un sindacalista, quella di un uomo completamente teso, aldilà di
ogni etichetta che gli si possa attribuire, verso un obiettivo superiore, di
alto valore morale oltre che economico: la sua coerenza, il suo impegno, il suo
"senso religioso di devozione alla causa dei lavoratori" (come lo
definì l’on. Saragat nel discorso commemorativo a Fontanelle del 4 settembre
1955) ne fanno un personaggio di straordinario interesse.
Le sue origini umili e gli onori che conseguirono alla sua attività (se non
fosse per la sua morte nella più completa indigenza) farebbero di lui il
classico interprete del "sogno americano ":il suo genio organizzativo
e produttivo, infatti, nel regime capitalistico in cui viviamo, avrebbe potuto
essere utilizzato per il proprio profitto come è stato per grandi imprenditori
del nostro secolo. Ed invece mi trovo a parlare di una persona che dichiara
attraverso le pagine del periodico socialista "L’Idea" (in merito ad
un ordine del giorno di assemblea di lega nella quale era anche previsto di
stabilire indennità per ufficio di segretario) "continuerò modestamente
nel mio ufficio ma rifiuto ogni compenso, pur ringraziando il consiglio per il
gentile pensiero. L’affetto vostro è il migliore dei compensi: uniti e
affezionati alla nostra organizzazione, ecco ciò che desidera il vostro
segretario Giovanni Faraboli".
Ma come poter pensare che G. Faraboli, disponibile quotidianamente e ad ogni ora
nel suo ufficio della Cooperativa o sul palco di qualche manifestazione pubblica
(nei periodi di intensa attività ne teneva anche tre o quattro al
giorno),avrebbe mai potuto accettare tale compenso? Nella sua vita che definirei
di idealista estremo non trovò nemmeno il tempo di "prender moglie" o
di dedicare un minimo alla sfera personale: il progetto però della cooperativa
integrale a Fontanelle andò in porto e fu uno degli esempi più riusciti a
livello nazionale.
Vedremo come il suo "riformismo integrale" (come lo definisce lo
storico Umberto Sereni nel suo "Movimento cooperativo a Parma"),
nonostante la coerenza che ha sempre contraddistinto le sue posizioni, ne fa’
soprattutto un cooperatore più che un’attivista socialista o sindacalista,
con le sue lotte spesso dure, ma sempre civili e improntate alla ricerca della
soluzione razionale; con le sue cooperative aperte ai lavoratori di tutte le
fazioni politiche (anche se per questo verrà criticato); con le sue vittorie
sulle forze avverse, sempre limpide e trasparenti come le sue sconfitte. Sempre
l’on. Saragat lo ricorderà così: "G. Faraboli era un socialista, vale a
dire un uomo che crede nel destino umano degli uomini, un uomo il quale ha
inteso di istinto probabilmente più che in senso dottrinario l’ammonimento
immortale di Carlo Marx e cioè che il principale bisogno degli uomini e’ di
diventare umani".
Socialismo della Bassa Parmense che, comunque, lo storico F. Santi definirà a
più riprese "socialismo riformista padano non marxista ovvero movimento
cresciuto e sviluppatosi dal basso, con la gente, insieme alla gente. Non
burocratico, non deciso per decreto ma sofferto giorno per giorno a contatto con
la dura realtà quotidiana che si lavorava per cambiare".
"Non l’attesa messianica del giorno liberatore, risolutore una volta per
tutte di tutti i problemi, bensì consapevolezza delle necessità di edificare
poco per volta in mezzo a mille difficoltà ,una costruzione solida e
duratura" come ricorda anche M. Giuffredi nel suo "Dopo il
Risorgimento".
Ed è proprio questo il punto fondamentale della sua opera che voglio
sottolineare: G. Faraboli da riformista quale si definiva, aveva attuato nel
"piccolo" della sua realtà locale, la vera "rivoluzione",
trasformando Fontanelle in un’isola felice all’interno di un contesto di
miseria e disoccupazione creatosi con l’avvento del capitalismo agrario
sfruttatore del periodo.
Aveva tentato di fornire l’esempio dì quella comunità a misura d’uomo
nella quale, attenuate le rivalità fra simili e risolti problemi di
organizzazione economica, si sarebbe potuto crescere intellettualmente e
civilmente (cosa a cui teneva in particolare con suoi corsi serali di istruzione
e la biblioteca pubblica).
Non stupiamoci dunque se, da uno dei suoi compagni di ventura dell’esperienza
cooperativa, così come abbiamo visto nelle definizioni degli storici in
precedenza, trapela questa descrizione del pensiero "faraboliano" con
metafore che riportano a una specie di religione: P.Taddei infatti nel suo
"Fontanelle in patria e in esilio" lo ricorda così: "...e quasi
si direbbe che egli non abbia luce di pensiero o palpito di cuore che per
comprendere, amare, ed agire in pro della causa alla quale ha dedicato tutta la
vita. Egli non è mai tocco dal dubbio, preso da esitazione, da vani sconforti.
In lui è la certezza del credente. Giovanni Faraboli è la fede che comanda l’azione"
.Chissà, forse se fosse nato ad inizio millennio, ci troveremmo di fronte a un
nuovo San Paolo...!
Due i momenti fondamentali che analizzerò della sua opera dopo una breve
biografia e una sintesi del contesto economico nel quale visse: il conflitto con
i sindacalisti rivoluzionari che sfocerà nella scissione ufficiale con
creazione di una nuova camera del lavoro all’interno della stessa provincia,
con Parma che per questo balza agli onori della cronaca italiana del 1908; l’esperienza,
nello specifico, della cooperativa integrale di Fontanelle, esempio fulgido per
tutta economia nazionale.
Infine vedremo come dopo l’assalto fascista che distrusse tutta l’opera
della cooperativa di Fontanelle, Faraboli esiliato in Francia non si arrenda
alle avversità e ricostituisca in grande l’esperienza di Fontanelle a Tolosa
e a Parigi, raggiungendo la notorietà internazionale.
LA VITA DI GIOVANNI FARABOLI
Dalla nascita alle prime
conquiste sindacali.
G. Faraboli nasce il 23 marzo 1876 da Luigi e Alba
Giordani, in una frazione di San Secondo Parmense (località Valle) che però,
per chi conosce i luoghi, e’ in chiaro "territorio" di Fontanelle
(Comune di Roccabianca), dove verrà infatti battezzato, distando da questo
poche centinaia di metri, mentre dal primo e’ ad almeno cinque chilometri. Ed
e’ per questo che la sua attività si e’ svolta qui da subito, figlio di
agricoltori.
Poche le notizie sui suoi primi anni e sulla sua famiglia che mi e’ stato
possibile reperire; nessuno scritto lasciato da lui o da contemporanei. Di lui
esistono testimonianze di chi lo ha conosciuto che lo descrivono come lavoratore
instancabile, buon intrattenitore di folle, grado istruzione non elevato, a cui
sopperiva con volontà ferrea di apprendimento.
Un ricordo di un compaesano fuori dal comune che ci descrive Faraboli, lo
troviamo in un articolo del "Candido" scritto da Giovanni Guareschi,
uno dei più noti scrittori italiani del Dopoguerra, assurto a fama mondiale per
la creazione di personaggi famosi come Peppone e don Camillo e pure lui nato a
Fontanelle: "Quella chiara e onesta faccia e quelle mani forti dì quel
capo dei Rossi. ..un omaccione alto e massiccio come una quercia... Egli che fu
un costruttore solido, massiccio, implacabile.
Forse proprio G. Faraboli e le sue lotte politiche hanno permesso a Guareschi di
trovare ispirazione per le sue narrazioni e per far emergere quel lato della
personalità di Faraboli che spesso è dimenticato o non condiviso: la
tranquillità e la tolleranza pur nella decisione delle sue battaglie contro le
ingiustizie sociali.
Faraboli fu senza dubbio l’esponente più significativo dell’esperienza del
primo movimento di emancipazione della Bassa Parmense che aveva al centro la
fitta rete dì cooperative di Fontanelle. Si iscrive nel 1902 al PSI e sostenne
la corrente riformista, quella che nella zona della Bassa era preminente grazie
all’opera di fine secolo di socialisti come Musini e Costa e dove c’era il
collegio dì Borgo S. Donnino (odierna Fidenza) dal quale era scaturita l’elezione
a deputato del professor Agostino Berenini.
Nell’aprile 1901 G. Faraboli aveva già fondato la prima lega a Fontanelle,
quella dei contadini, e da qui, nel 1905, divenne membro della commissione
esecutiva della Camera del Lavoro di Parma, in quel periodo retta da Alessandro
de Giovanni.
La Lega dei contadini ebbe come primo obiettivo il rialzo dei salari che erano
allora di 70 centesimi per stagione estiva e di 60 per quella invernale; nel
1902 abbiamo la costituzione del monte granario cui scopo è quello di fare
prestiti ai soci in momenti di eccessiva disoccupazione e resistenza
(anticipavano una quantità di frumento che il socio al momento del raccolto
avrebbe restituito) e che poi si trasforma nel 1904 nella cooperativa di consumo
poi chiamata "casa dei socialisti", fortemente voluta da G. Faraboli e
nata fra la resistenza di molti con un capitale modestissimo di 842 lire8.
L’organizzazione di un forte movimento sindacale era per lui l’obiettivo
primo da raggiungere all’epoca e il suo impegno e la sua influenza sì
estesero subito anche ai paesi vicino a Fontanelle. Nel 1905 lo troviamo a
Bologna a rappresentare la Bassa Parmense nel Congresso nazionale della
Federazione Lavoratori della Terra e
il 31 dicembre del 1907 costituisce la cooperativa di lavoro per assunzione di
opere pubbliche specie di bonifica e arginatura frequenti nella bassa Parmense9.
I primi sintomi dei contrasti all’interno della Camera del Lavoro di Parma,
maturati in seguito alla decisione del segretario De Giovanni di non aderire al
congresso di costituzione della Camera Generale del Lavoro, tenutosi a Milano
nel settembre 1906, portano Faraboli e leghe della Bassa a scontrarsi con l’opinione
prevalente alla Camera del Lavoro. Risolti i contrasti con la partenza di De
Giovanni e l’assunzione della direzione della Camera del Lavoro da parte di
Alceste de Ambris, Faraboli inizia una forte collaborazione con il nuovo
segretario che portano il movimento sindacale ad una forte avanzata che culmina
con il successo dello sciopero del maggio 1907.
La frattura riemerge però nell’autunno 1907 con la decisione della Camera
Lavoro locale di aderire al Comitato Nazionale di Resistenza, nuovo organismo di
ispirazione sindacale, contro quelle che sono gli intenti dei seguaci di
Faraboli di restare legati a CGdL: la votazione è chiara e Faraboli, sostenuto
dai voti dei collegi della Bassa, ottiene 3224 voti contro de Ambris che grazie
al resto della Provincia, ottiene 15487 voti.
La scissione diventa operativa nel febbraio 1908 nel Convegno di Zibello quando
la Bassa Parmense costituisce la "sua" Camera del Lavoro di Borgo San
Donnino aderente alla CGdL e si prepara, separata, alla lotta contro l’Agraria
Parmense per le rivendicazioni dei lavoratori.
Nel marzo dello stesso anno Faraboli è nominato membro del Comitato Centrale
della Federazione Nazionale Lavoratori della Terra e come tale partecipò a
convegni indetti sulla questione Parmense" ormai rimbalzata su cronache
nazionali, che fecero risaltare ancor di più le due anime del movimento
operaio.
Ma quali motivazioni c’erano alla base di una reazione così "forte"
da parte di un personaggio sempre pronto al dialogo e alla soluzione diplomatica
come Faraboli?
C’era, come dice giustamente U. Sereni nella sua opera, il rischio di
compromettere il lavoro paziente di anni di cooperazione della Bassa Parmense,
fenomeno dal quale Parma città era solo sfiorata che invece era il vero credo
dell’opera di Faraboli e prima ancora di Italo Salsi. Questi, membro esecutivo
della Camera del Lavoro di Parma e "innamorato dell’ordinamento
cooperativo del suo Reggiano, volle affidare alle terre parmensi la semenza
feconda che non tardò a dare vivi e forti germogli"
Le sproporzioni del fenomeno fra Parma e Provincia erano comunque evidenti: a
Parma nel 1905 funzionavano sei cooperative di produzione e lavoro con 159 soci
e solo il progetto di formare una cooperativa di consumo; in provincia i soli
aderenti della cooperativa di lavoro di Zibello, Polesine, Roccabianca erano
quattrocento, per non parlare delle ventinove cooperative di consumo già
operanti...
Già nel 1903 era sorta la Federazione provinciale delle cooperative, fortemente
voluta da Italo Salsi, proprio per coordinare l’attività di tutte le singole
e formare una grande organizzazione sul modello reggiano, ed è in quest’opera
dì espansione che troviamo impegnati dirigenti di leghe come Faraboil che danno
un carattere nuovo a questa fioritura di cooperative specie di consumo,
"imprimendole una fisionomia di strumento di lotta, che integra e rende
più incisiva la battaglia rivendicativa dei lavoratori" come ci ricorda
U.Sereni.
"Mutava sia pure in forma e modi tutt’altro che appariscenti, la
geografia sociale di molti paesi, dove anche attraverso quelle piccole stanze,
al cui ingresso ben visibile era posta la scritta Cooperativa, una nuova classe
sociale, si sottraeva all’inedia e alla rassegnazione, per affermare un suo
diritto alla vita e proporre modelli di aggregazione sociale diversi e superiori
rispetto a quelli conosciuti, segnati dall’incubo della fame."
Il bagaglio ideale di questi nuovi cooperatori è ben sintetizzato da L Barbieri
di Langhirano in un articolo del settimanale della Lega Nazionale delle
Cooperative del novembre 1903, alla vigilia del Congresso della Federazione
delle Cooperative di Parma, costituitasi pochi mesi prima con I. Salsi:" I
rapporti con le organizzazioni di resistenza vanno regolati in modo che la
cooperazione, che è l’avvenire, non debba in alcun modo intralciare l’opera
della resistenza, così come la resistenza deve aiutare in ogni modo il divenire
della cooperazione cui essa tende...". E ancora:
"La cooperazione ha assunto il carattere dell’Universalità. Essa, quale
strumento di elevazione economico e morale, estende la propria azione a tutte le
classi di cittadini. La classe dei lavoratori è quella che più abbisogna della
sua opera e deve usarne primamente e goderne i benefici; ma ciò non può ne
deve mutare il carattere dell’istituto che è quello dell’universalità...
La resistenza anziché disperdere le proprie forze in conati pericolosi e vani,
deve rientrare nella cooperazione e immedesimarsi in quelle forme che sono a sua
disposizione: ma non cercare di fare della
cooperazione una devota ancella. Non si può asservire la cooperazione a un
partito politico, il quale benché ricco di idealità, resta sempre un partito.
..La cooperazione mira più’ in alto, al di sopra dei partiti e delle classi,
c’è la società. E’ solo per beneficio dì questa che noi prestiamo l’opera
nostra modestissima."
Accanto così a preesistenti forme dì cooperazione, ridotte a strumenti di
difesa dei privilegi di pochi soci e rinnovandole dalle fondamenta, si affermava
una presenza nuova di esperienze cooperative che assicurava al movimento
consistenza ed estensione: cooperative di consumo sorsero ovunque nel territorio
provinciale interessato all’iniziativa di classe e mentre l’azione
rivendicativa di molte leghe latitava, sotto la pressione della disoccupazione e
degli avversari dell’Agraria organizzati, quelle che sfruttavano l’organizzazione
cooperativa ottenevano risultati significativi nella battaglia, avvicinando le
masse anziché allontanarle.
Ecco che se a Parma "l’azione diretta" del sindacalismo
rivoluzionario poteva nutrire degli adepti, nella Bassa Parmense cooperativista,
risultati alla mano, non si intendeva recedere dalle posizioni.
Lo stesso De Ambris arrivato a Parma nel 1907, affermava su un quotidiano
"il Giornale d’Italia", nel 1908, di aver trovato una situazione
ideale per iniziare la lotta con lo sciopero. "Gli scioperi sono stati
voluti dalla forza delle cose. In un anno ne ho fatti trentasette.. .ma li ho
fatti perché industria e agricoltura avevano fatto un lungo periodo di pace
durante il quale il margine profitti di proprietari e industriali era salito a
cifre gravissime. I lavoratori di Parma hanno dovuto conquistare in un anno
quello che altre province hanno ottenuto in tempi lunghi e con opera costane e
paziente."
Ma proprio questa serie di agitazioni del 1907 aveva portato il gruppo dirigente
della Camera del Lavoro di Parma in contrasto con CGdL tanto da organizzare,
promossa da Camera del Lavoro stessa, una struttura autonoma denominata
"comitato di Resistenza" che si proponeva di disperdere l’influenza
delle componenti riformiste. il gruppo che si rifaceva a Faraboli, al contrario,
benché minoritario e teso verso adesione alla CGdL (che tanto aveva permesso di
ottenere alle cooperative della Bassa),non poteva approvare ne’ le scelte di
fondo in materia di trasformazione della società ne’ i modi di conduzione
delle lotte dei nuovi dirigenti e se ne distaccò.
Il Grande Sciopero del 1908 e la Prima Guerra Mondiale.
Il fascismo, l’esilio
francese, l’addio.
Con la fine del 1920 e nei primi mesi del 1921 il quadro organizzativo
della cooperazione parmense tocca la punta massima di sviluppo: il numero di
cooperative, di iscritti, nonché i contratti di affittanza collettiva stipulati
dalle stesse, raggiungono un’espansione mai conosciuta, con il solo punto
interrogativo lasciato da una disoccupazione tornata a crescere.
All’apice della loro fortuna i cooperatori riformisti, conquistate le
Amministrazioni Comunali di tutta la Bassa, si fanno però trovare impreparati
dalla reazione delle classi che ormai consideravano vinte; inoltre la buona
salute di cui godevano le cooperative era l’ultimo riflesso di una congiuntura
economica che si stava ormai allontanando, sotto l’incalzare di un complesso
di condizioni che avrebbero peggiorato la loro situazione.
"Era, infatti, nella vasta area lasciata scoperta dal restringimento dell’azione
del movimento di classe, che si inseriva la controffensiva fascista" — ci
ricorda U. Sereni —"proponendosi come polo di raccolta di tutti gli
strati sociali offesi o non tutelati dalle organizzazioni dei lavoratori. Unendo
alla distruzione violenta di tutto il quadro organizzativo dei lavoratori l’affermazione,
strumentale e demagogica, e la parziale soddisfazione delle aspirazioni di
quanti si riconoscevano esclusi dal monopolio dei rossi, il fascismo non
incontrava, anche nelle campagne del parmense, forti ostacoli alla sua azione di
scardinamento delle conquiste del movimento operaio e di riorganizzazione
reazionaria della società. E’ da notare che non si lasciava trascorrere un
giorno dalla distruzione delle leghe, senza costituire immediatamente in loro
vece, dei sindacati a programma nazionale... La rapidità della conquista della
Bassa stava anche in questo elemento, nell’aggregazione coatta e consensuale
di un blocco antisocialista e antisindacalista che andava dai grandi proprietari
alle altre figure sociali intermedie della campagna, ai commercianti dei borghi,
nemici delle cooperative, fino ai braccianti rimasti esclusi dai turni di lavoro
stabiliti dall’organizzazione"
Il 29 luglio 1922 i sindacati fascisti ormai avevano colonizzato, a suon di
bastonate, tutta la Provincia e riunitisi a Congresso a Busseto decisero di
puntare sui pochi centri che ancora resistevano, tra i quali "l’oasi
rossa" di Fontanelle.
Con la compiacenza della forza pubblica che non "esercitò la benché
minima azione di persuasione, minaccia o resistenza sui nuovi unni",22 il 6
agosto 1922 le squadre fasciste entrano in Fontanelle e incendiano i magazzini
della Casa dei Socialisti, nonché la Villa Rossa, sede degli Uffici delle
cooperative e la Biblioteca popolare. Per ultima la casa di Faraboli, emblema
della resistenza e dell’esperienza cooperatìva e che come tale è ricordata
sul periodico socialista "L’ldea": "Fontanelle è un mucchio di
cenere... Tutto il lavoro che l’uomo aveva creato sollevandosi dalla propria
umiltà e tendendosi in un mirabile sforzo di solidarietà è ridotto in cenere.
Giovanni Faraboli aveva fatto il miracolo. Da sé stesso, con l’eroico sforzo
degli autodidatti, si è conquistato una prevalenza morale che ha rivolto alla
redenzione degli umili. Indicato alla deputazione rifiutò. La sua razza
semplice e schietta gli fa preferire il lavoro costruttivo semplice, ignoto,
faticoso.
E nella sua bassa, egli viene ad elevare i contadini dominati dalla servitù
agraria e conturbati dal favore e dalla disillusione che la demagogia
sindacalista ha portato nelle anime semplici.
Anima di apostolo fusa in un temperamento di contadino, Faraboli rincuora,
suscita, crea... Le cooperative agricole, di consumo, di lavoro, le belle
costruzioni del lavoro associato si moltiplicano nella Bassa. il miracolo è
fatto. Ma è giunta l’ora più dura...
Giovanni Faraboli resiste... Tocca al fascismo l’onore di spezzare questo
nobìle sforzo, di incenerire questa ricchezza che è poi ricchezza nazionale. .
.
Costretto a lasciare Fontanelle, Faraboli, si rifugia clandestinamente in
Francia, prima a Lille nel 1923 e poi a Tolosa nel 1926, dove riprese a lavorare
con lo stesso entusiasmo di trent’anni prima e con gli stessi compagni di
Fontanelle che lo avevano anticipato nell’esilio.
A Tolosa Faraboli ricostruisce il nucleo dei cooperatori della Bassa, con i
fratelli Bertoluzzi, Amedeo Azzi, Primo Taddei ed insieme ricreano attorno alla
cooperativa di lavoro, l’elemento di una nuova unione, l’occasione di
garantire sostentamento a quanti hanno lasciato l’Italia e di diffondere gli
ideali antifascisti.
Chiamata in un primo tempo Cooperativa dei lavoratori della Bassa Parmense,
diverrà poi nel 1927, quando i soci decisero di farne un organismo legalmente
riconosciuto, I’emancipazione, proprio come l’organizzazione che ai bei
tempi di Fontanelle assumeva i lavoratori edili e di arginatura.
Non perde occasione dì fare propaganda antifascista e ovunque c’è una
manifestazione contro, egli si presenta per accusare e inveire; una nota del
Consolato di Tolosa del luglio 1934, ricavata dal già citato Sereni e diretta
al Ministero degli Interni italiano, infatti descrive la minaccia che reca
Faraboli pur da oltrefrontiera: "...egli è riuscito a creare circa un
centinaio di sezioni nei vari dipartimenti, a raccogliere nel solo primo
semestre 1934 oltre ventimila franchi per la propaganda sowersiva e a
distribuire un numero rilevante di giornali e stampe antifasciste, si può
dedurre quale sia la di lui attività politica...".
Temendo la perdita di una fisionomia propria del Partito Socialista, non cede
nel 1937 al tentativo di riunificare le due anime del movimento operaio nella
lotta al fascismo, rifiutando l’ipotesi di unità con i comunisti.
La Francia nel frattempo è divenuta sempre più inospitale e le difficoltà
burocratiche per i fuoriusciti antifascisti per accedervi sono sempre maggiori:
Faraboli, in buoni rapporti con le autorità municipali di Tolosa, si dedicherà
cosi in questo periodo all’attività diplomatica necessaria per accelerare le
pratiche per il disbrigo del rilascio di permessi e documenti e ad alleviare il
disagio dei suoi connazionali.
Con il rapido precipitare della situazione, la sconfitta dell’esercito
francese, l’invasione nazista e la formazione del governo di Vichy, ormai il
Sud-Ovest di Faraboli era divenuto il luogo più sicuro.
Divenuto segretario del Comitato di assistenza dei profughi italiani (che
garantiva anche la prosecuzione dell’attività socialista sciolta di
iniziativa dalle autorità) non scamperà all’internamento nel campo di Vernet
per dieci giorni, ma poi scarcerato continuerà la sua attività in favore della
Resistenza.
Alla fine della guerra la sua infaticabile attività ventennale in Francia in
favore degli esiliati, verrà premiata dal neo Presidente della nuova Repubblica
Italiana, Luigi Einaudì, con una delle più alte onorificenze assegnate: la
stella degli italiani benemeriti all’estero.
Fu uno dei rari momenti di felicità degli ultimi anni della sua vita: isolato
politicamente e seriamente ammalato, il suo ritorno in Italia non fu certo
sereno, ma mai volle intralciare per la sua situazione l’operato dei suoi
compagni. Ha saputo mettersi da parte e al suo rientro a Genova, costretto a
letto dalla malattia e impossibilitato a uscire dall’angusta stanzetta
assegnatagli in cima ad una scalinata di un centinaio di gradini, protestò per
la dispersione di tempo e denaro che profusero alcuni suoi compagni per farlo
rientrare a Parma, non volendo essere di peso a nessuno.
Muore a Parma nella più completa indigenza all’Ospizio degli Incurabili il
quattro febbraio 1953, con il funerale pagato a mezzo di una pubblica
sottoscrizione popolare.
"MUORE ABBANDONATO ANCHE DA COLORO CHE AVEVA EDUCATO AL SOCIALISMO, CHE NON
RISPONDEVANO PIÙ ALL’APPELLO E SI ERANO LASCIATI ANDARE VERSO UN ESTREMISMO
PIÙ PERICOLOSO."