GIOVANNINO GUARESCHI
La vita e le opere
Giovannino Guareschi (Fontanelle di Roccabianca, Parma 1 maggio 1908
- Cervia, Ravenna 22 luglio 1968) è stato un giornalista ed uno scrittore
umorista italiano. La sua creazione più famosa è Don Camillo, il robusto
parroco che parla col Cristo dell'altare maggiore. Il suo antagonista è il
sindaco comunista del piccolo paese di provincia, Brescello, l'agguerrito
Peppone, diviso tra il lavoro nella sua officina e gli impegni della politica. Ambito e corteggiato dalle diverse fazioni politiche - di destra e di sinistra - che hanno attraversato almeno trent'anni di storia italiana, Guareschi è stato prima di tutto il cantore della propria personale libertà di espressione. Giovannino Oliviero Giuseppe Guareschi (questo è il suo nome completo: Guareschi scherzava sempre sul fatto che un omone come lui fosse stato battezzato come "Giovannino") nacque in una famiglia di classe media. Nel 1926 la sua famiglia andò in bancarotta ed egli non poté continuare gli studi,conseguita la Maturità Classica, si dedica al giornalismo. Nel 1929 vince, con la novella umoristica Silvania, dolce terra un premio letterario indetto dalla "Voce di Parma" e viene assunto al "Corriere Emiliano" passando da correttore di bozze a cronista, a capocronista. Licenziato, ottiene, grazie all’amico Cesare Zavattini, una collaborazione al "Secolo illustrato". Nel 1936, trasferitosi a Milano, diventa caporedattore del "Bertoldo", periodico bisettimanale umoristico di Angelo Rizzoli, diretto da G.Mosca e Vittorio Merz. Nel 1941 pubblica con successo il primo libro, a carattere biografico, La scoperta di Milano e l’anno successivo pubblica Il destino si chiama Clotilde. Nello stesso periodo collabora alla terza pagina del "Corriere della Sera", alla "Stampa" e all’EIAR. Durante la seconda guerra mondiale, Guareschi - penna pungente e pronta ad attaccare senza paura e reverenza i bersagli che più gli sembravano meritevoli di critica - mosse osservazioni al governo di Benito Mussolini. Nel 1943 venne arruolato nell'esercito, il che apparentemente lo aiutò ad evitare problemi con le autorità fasciste. Finì come ufficiale di artiglieria ad Alessandria. Quando l'Italia firmò l'armistizio con le truppe Alleate, si trovava sul fronte orientale e venne arrestato e rinchiuso in un campo di prigionia in Polonia e poi in Germania per due anni, assieme ad altri soldati italiani, gli IMI (Internati Militari Italiani). In seguito scrisse su questo periodo in Diario Clandestino. Dopo la guerra, nel dicembre del 1945, Guareschi fece ritorno in Italia e fondò con G.Mosca e G.Mondaini una rivista satirica monarchica, il Candido che diresse assieme a Mosca sino al 1950, rimanendo direttore unico fino al 1957 e continuando a collaborarvi fino al 1961, quando il settimanale cessa le pubblicazioni. Risale al 1947 la raccolta in volume delle storielle pubblicate su "Candido" e "Oggi" col titolo l’Italia provvisoria, seguito, l’anno successivo, da Lo zibaldino, silloge di racconti pubblicati sul "Bertoldo", "Tutto" e "Corriere della Sera" dal 1938 al 1948. Nel 1948 appare la prima edizione di Don Camillo, dal quale nel 1952 viene tratto il primo film della fortunata saga con Gino Cervi e Fernandel. Il primo dei racconti della tetralogia di Mondo piccolo dal titolo "Peccato confessato", pubblicato su "Candido" nel 1946, incontra uno straordinario successo internazionale. Dopo che l'Italia divenne repubblica, iniziò ad appoggiare la Democrazia Cristiana, principalmente a causa della sua profonda fede cattolica. Egli criticò e rese oggetto di satira i comunisti nella sua rivista: famosissime le sue vignette intitolate "Obbedienza cieca, pronta e assoluta", dove sbeffeggiava i militanti comunisti che lui definiva trinariciuti (la terza narice serviva a eliminare del tutto il cervello), i quali prendevano alla lettera le direttive che arrivavano dall'alto, nonostante i chiari errori di stampa. (Contrordine compagni! La frase pubblicata sull'Unità: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni insetti', contiene un errore di stampa e pertanto va letta: 'Bisogna fare opera di rieducazione dei compagni inetti.). Nelle elezioni del 1948 Guareschi prese parte attiva contro i comunisti che insieme ai socialisti si erano alleati nel Fronte popolare. Molti slogan, come "Nella cabina Dio ti vede, Stalin no", uscirono dalla sua mente fervida. Anche dopo la vittoria della DC e dei suoi alleati, Guareschi non abbassò certo la sua penna: anzi criticò anche la Democrazia Cristiana, che a suo parere non seguiva i principi cui si era ispirata. Guareschi non si poteva certo definire una persona conciliante. Nel 1950 fu condannato con la condizionale a otto mesi di carcere nel processo per diffamazione all'allora presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che era da lui stato accusato di interesse privato nel promuovere i vini delle sue tenute. |
Nel 1953 pubblica Don Camillo e il suo gregge Nel 1954 Guareschi venne nuovamente accusato di diffamazione per avere pubblicato sul Candido due lettere apocrife di Alcide De Gasperi (poi Primo Ministro nel dopoguerra) risalenti al 1944, nelle quali de Gasperi avrebbe chiesto agli Alleati anglo-americani di bombardare Roma allo scopo di demoralizzare i collaboratori dei tedeschi. Le lettere in questione sono state ritenute dei falsi in un successivo processo giudiziario; ad ogni modo il processo riguardava appunto la diffamazione e Guareschi fu condannato a dodici mesi di carcere in primo grado. Essendosi rifiutato di ricorrere in appello contro quella che lui riteneva un'ingiustizia, venne recluso nel carcere di Parma, dove rimase per 409 giorni, più altri sei mesi di libertà vigilata ottenuta per buona condotta. Sempre per coerenza, rifiutò sempre di chiedere la grazia. Lo scrittore esce dal carcere moralmente provato. Nel 1956 la sua salute si era deteriorata ed egli iniziò a trascorrere lunghi periodi in Svizzera per motivi di salute. Nel 1957 si ritirò da redattore del Candido rimanendo tuttavia un contributore ,sul quale pubblica a puntate nel 1959 Il compagno Don Camillo,della rivista fino al 1961. Continuò a collaborare a vari periodici con disegni e racconti. Nel 1963 scrive, con Pasolini, la sceneggiatura del film La rabbia; nel 1967 la fiaba La calda estate di Gigino pestifero; nel 1968 il romanzo incompiuto L’Albania è vicina: accadde domani e Don Camillo e i giovani d’oggi. Il 22 luglio 1968 morì per un attacco di cuore. |
Il racconto della sua nascita
Giovanni Faraboli fu, nei primi anni del Novecento, il fondatore
delle cooperative rosse della Bassa.
Quando nacque Guareschi, i baffi dei socialisti erano neri e i fazzoletti rossi
erano fiammanti. Era il primo maggio 1908 e Giovanni Faraboli, dal balcone della
Villa Rossa sulla provinciale all’imbocco di Fontanelle, parlava di
cooperativismo a centinaia di braccianti coi cappelli calcati sulla nuca e la
voglia di cambiare. La Villa Rossa era la sede della Cooperativa ed era stata
affittata ai socialisti per un compenso simbolico dal padre di Guareschi, Primo
Teodosio Augusto, che l’aveva fatta tinteggiare di rosso. A Fontanelle, i
vecchi ricordano bene Primo Augusto Guareschi: era davvero l’uomo che il
figlio descrisse nelle storie che aprono il primo volume su don Camillo. Era
alto, magro e potente, con lunghi baffi, un grande cappello, la giacca attillata
e corta, i calzoni stretti alla coscia e gli stivali alti. Dicono che faceva
paura quando si piantava a gambe larghe davanti a qualcuno.
Giovanni Faraboli finì quel primo maggio 1908 il suo discorso e la banda
attaccò l’internazionale. Accanto a Faraboli, sul balcone della Villa Rossa,
comparve Primo Augusto con un fagotto bianco.
«Questo è mio figlio, nato da poche ore. Lo chiameremo Giovanni, come te,
amico mio. Ma poi no, per non fare confusione lo chiameremo Giovannino» disse
Primo Augusto. Giovanni Faraboli prese tra le braccia il neonato, lo mostrò al
senatore D’Aragona che gli era accanto, con un gesto chiese il silenzio della
piazza. «Oggi è nato un nuovo compagno!» esclamò e col fazzoletto rosso che
aveva al collo avvolse il bambino.
Beppe Gualazzini, Guareschi, Milano 1981
La vita di Giovannino Guareschi narrata da lui stesso
Adesso vi racconto tutto di me.
Il 1 maggio 1908, a Fontanelle di Roccabianca, ridente villa della Bassa
parmense, in una delle casette che si affacciano sulla piazza, nacque una
bambina cui poi venne dato il nome di Ermelinda. Non ero io: io nacqui si in
quel paese e il primo maggio 1908, ma in una casa dall'altra parte della piazza.
Tanto è vero che poi mi venne dato il nome di Giovannino. In complesso mi
chiamo Giovannino Guareschi e ho l'età esatta che si addice a un giovane uomo
nato nel 1908. Ho due figli che a me sono molto simpatici. Il primo si chiama
Alberto, il secondo si chiama Carlotta. Ciò dipende dal fatto che mentre il
primo è di sesso maschile, il secondo è di sesso femminile: come del resto è
di sesso femminile la madre, una signora che era molto più simpatica quando era
ancora signorina. I miei figli e mia moglie hanno complessivamente 70 anni.
L'età di mia figlia più l'età di sua madre fa 57. L'età di mio figlio più
l'età di sua madre fa invece 60. Questo è tutto quello che posso dirvi
dell'età di mia moglie. Per facilitarvi posso aggiungere che mia figlia ha 10
anni.
Ho frequentato con profitto il Liceo Classico dove ho imparato come non deve
scrivere un giornalista. Poi ho frequentato l'Università ma non ho ancora
trovato il tempo per laurearmi: l'unico inconveniente è che, adesso, non mi
ricordo più se ho frequentato il corso di Giurisprudenza o quello di Medicina.
Il parere dei miei compagni di studi è discorde. Scrivo e disegno, ma non sono
in grado di dirvi se sono da disistimare più come scrittore che come
disegnatore.
Ciononostante tiro avanti discretamente, aiutato molto dal fatto di possedere
due notevoli baffi che mi danno una certa notorietà. Conduco una vita molto
semplice. Non mi piace viaggiare, non pratico nessuno sport, non credo nelle
vitamine. In compenso credo in Dio. Sono un lavoratore tenace e, sotto questo
aspetto, sono la consolazione della mia famiglia, e i miei figli mi citano
sempre come esempio alla loro madre. Da parte mia sono profondamente grato ai
miei genitori d'avermi messo al mondo.
E gratissimo sono al Padreterno perché non m'ha fatto nè peggiore nè migliore
di quello che sono. lo volevo essere esattamente così come sono. Diverso di
così mi andrei largo o stretto.
Il suo congedo dal candido
Il racconto dei funerali di Guareschi
L’Italia meschina e vile, l"Italìa provvisoria", come lo stesso
Guareschi con amara intuizione la definì nel 1947, ci ha fornito ieri l’esatta
misura del limite estremo della sua insensibilità morale e della sua pochezza
spirituale.
Giovannino Guareschi è lo scrittore italiano più letto nel mondo con
traduzioni in tutte le lingue e cifre di tiratura da capogiro. Ma l’Italia
ufficiale lo ha ignorato. Molti dei nostri attuali governanti devono pur
qualcosa a Guareschi e alla sua strenua battaglia del 1948 se oggi siedono
ancora su poltrone ministeriali, ma nessuno di essi si è mosso. Nessuno di essi
si è fatto vivo: non il ministro, non il sottosegretario, non qualcuna delle
tante eccellenze e dei tanti direttori generali che affollano il ministero della
Pubblica Istruzione e l’ufficio stampa della presidenza del Consiglio. Neppure
un commesso della Camera o un usciere del Senato.
Guareschi ha avuto la disgrazia di morire in Italia. Se fosse morto in Francia,
è certo che André Malraux, uno dei più acuti e penetranti scrittori del
nostro tempo e oggi ministro degliAffari Culturali del governo francese, avrebbe
trovato il tempo per andare al suo funerale. Diciamo tutto ciò con molta
malinconia. L’Italia è fatta così: e qui, più che altrove, l’ingratitudine
degli uomini è più grande della misericordia di Dio. Meglio così:
eravamo in pochi, ma almeno eravamo i suoi amici veri.
Il sindaco e la giunta comunale di Busseto, in ferie, hanno inviato il gonfalone
del Comune. C’erano gli scolaretti delle elementari di Roncole Verdi con lo
stendardo della scuola, ma nessun assessore alla Pubblica Istruzione, né della
Provincia, né di Parma, né di altri Comuni. Era invece presente il cavalier
Angelo Tonna, sindaco di Roccabianca, vecchio militante socialista e fior di
galantuomo.
Anche Giovannino Guareschi ormai riposa al cimitero dei galantuomini. E un luogo
poco affollato. L’abbiamo capito ieri, mentre ci contavamo tra di noi vecchi
amici degli anni di gioventù e qualche giornalista, sulle dita delle due mani.
Baldassarre Molossi, La Gazzetta di Parma, 25luglio 1968
Narrarono di Giovannino
Giorgio Bocca su la Repubblica, il 6 marzo del 1981, ha riconosciuto a
Guareschi:
E OGGI DICONO DI LUI
Articolo tratto dal settimanale on-line "Da Bice si
dice" www.dabicesidice.it
24 luglio 2008
Les
idiots savants
24
luglio: accadde l’altro ieri.
Non
ho particolare predilezione per gli anniversari perché spesso sono
stiracchiati, quasi dovuti, quando non mercanteggiati. Per questo ho atteso due
giorni e, invece di ricordare il triste giorno della Sua morte, ricordo il
giorno delle Sue esequie.
Sono trascorsi quarant’anni dal 22 luglio di quell’anno; anno troppo spesso
evocato impropriamente, anno che si portò via quasi in silenzio, assieme a
troppe altre cose, la vita di Giovannino Guareschi e, un mese dopo, l’anelito
di libertà del popolo cecoslovacco.
Quasi in silenzio perché i due eventi, il primo luttuoso e il secondo
tragicamente funesto, furono sovrastati dall’ignobile pandemonio provocato da
una ciurma di delinquenti scalmanati. Teppaglia lasciata libera di agire da una
camarilla di politicanti inetti, infingardi e vigliacchi cui la maggioranza del
popolo italiano aveva delegato il potere di governare. Governare significa, fra
le altre cose, garantire ai cittadini l’ordine e il rispetto delle leggi,
anche a costo di qualche rischio di impopolarità. Ma questo è un altro
discorso.
So bene che in questo mese si sono moltiplicate le iniziative per ricordare sia
la morte di Guareschi, sia l’invasione della Cecoslovacchia, ma la sordina,
quando non il bavaglio, impediscono che tali eventi abbiano la risonanza che
meritano.
So anche bene che le mie parole non contano nulla, non sono che una goccia nel
mare sconfinato dei mezzi d’informazione, tanto più paludati quanto più
ideologicamente asserviti. Tuttavia, anche se si tratta solo di una goccia,
lasciate che vi parli di Giovannino Guareschi e della Sua genialità di
scrittore.
Inizio
a ritroso, proprio dalla Sua morte e dai Suoi funerali.
La
giornata era bigia, con nuvole basse e folate di vento che si alternavano alla
pioggia. Il figlio Albertino, il marito di Carlotta e gli amici di Roncole
sorreggevano
In chiesa, don Rossi aprì un libro di Guareschi e, con voce grave, ne lesse due
righe: "Adesso vi racconto tutto di me: ho l’età di chi è nato nel
1908, conduco una vita molto semplice, non mi piace viaggiare, non pratico
nessuno sport, non credo in tante fantasticherie. Ma in compenso credo in
Dio". Poi, riposto il libro, don Rossi
con voce ferma disse:
«Su questa terra noi piantiamo la croce
di Cristo, del tuo Cristo che hai saputo far vibrare nei cuori e nelle coscienze
degli italiani e di tanti altri milioni di uomini, soprattutto nell’ora della
lotta. E adesso celebriamo
Dopo la Messa in latino, la bara fu portata nel cimitero di Roncole.[1]
Vi riporto ora un articolo a firma di Baldassarre Molossi, pubblicato
sulla Gazzetta di Parma il 25 luglio
«22
luglio 1968 Giovannino muore a Cervia[2]
L’Italia meschina e vile, l"Italia provvisoria", come lo stesso
Guareschi con amara intuizione la definì nel 1947, ci ha fornito ieri
l’esatta misura del limite estremo della sua insensibilità morale e della sua
pochezza spirituale. Giovannino Guareschi è lo scrittore italiano più letto
nel mondo con traduzioni in tutte le lingue e cifre di tiratura da capogiro. Ma
l’Italia ufficiale lo ha ignorato. Molti dei nostri attuali governanti devono
pur qualcosa a Guareschi e alla sua strenua battaglia del 1948 se oggi siedono
ancora su poltrone ministeriali, ma nessuno di essi si è mosso. Nessuno di essi
si è fatto vivo: non il ministro, non il sottosegretario, non qualcuna delle
tante eccellenze e dei tanti direttori generali che affollano il ministero della
Pubblica Istruzione e l’ufficio stampa della presidenza del Consiglio. Neppure
un commesso della Camera o un usciere del Senato. Guareschi ha avuto la
disgrazia di morire in Italia. Se fosse morto in Francia, è certo che André
Malraux, uno dei più acuti e penetranti scrittori del nostro tempo e oggi
ministro degli Affari Culturali del governo francese, avrebbe trovato il tempo
per andare al suo funerale. Diciamo tutto ciò con molta malinconia. L’Italia
è fatta così: e qui, più che altrove, l’ingratitudine degli uomini è più
grande della misericordia di Dio. Meglio così: eravamo in pochi, ma almeno
eravamo i suoi amici veri. Il sindaco e la giunta comunale di Busseto, in ferie,
hanno inviato il gonfalone del Comune. C’erano gli scolaretti delle elementari
di Roncole Verdi con lo stendardo della scuola, ma nessun assessore alla
Pubblica Istruzione, né della Provincia, né di Parma, né di altri Comuni. Era
invece presente il cavalier Angelo Tonna, sindaco di Roccabianca, vecchio
militante socialista e fior di galantuomo. Anche Giovannino Guareschi ormai
riposa al cimitero dei galantuomini. E un luogo poco affollato. L’abbiamo
capito ieri, mentre ci contavamo tra di noi vecchi amici degli anni di gioventù
e qualche giornalista, sulle dita delle due mani.Gli
altri non contano.»
Gli altri, soggiungo io, quelli che
non parteciparono alle esequie e che “non contano”, appartengono a due
categorie: la prima, attinente all’apparato di potere, è la categoria dei
politicanti inetti, infingardi e vigliacchi. La seconda, inerente ai cosiddetti
o, per meglio dire, ai sedicenti “intellettuali”, è la categoria des
idiots savants[3].
Torniamo a Guareschi giornalista e scrittore. Molti, quasi tutti, lo ricordano
per le indimenticabili storie della Bassa, con i due protagonisti don Camillo e
Peppone. Io però vorrei percorrere una via diversa.
Occorre riconoscere che Vittorio Feltri talvolta ne imbrocca qualcuna giusta:
egli ha il merito di avere ripubblicato e regalato, in abbinamento a Libero, le
copie anastatiche di alcuni numeri del Candido, il “settimanale del sabato”
fondato e diretto da Giovannino Guareschi.
Il primo numero uscì il 15 dicembre 1945 quando l’Italia, dopo soli otto mesi
dalla fine della guerra, tentava di rialzarsi[4].
Tre anni dopo, sul n.° 12 del 20 marzo 1948, “l’articolo di fondo” fu
costituito dalla lettera aperta di un lettore e dalla risposta di Guareschi.
II
compagno Maurizio G. ci scrive:
“Sig.
Guareschi,
Leggo,
ogni settimana, il vostro giornale.
Ho l’impressione che voi giochiate “a
mosca cieca”. Io sono un comunista “coltissimo”
e, diversamente da quanto Lei afferma,
con me e con gli altri è “possibile
ragionare”. Dimentichi per un momento
di essere “un umorista” e si sforzi
di essere una persona, seria e in buona fede. Per un momento soltanto!
Sinceramente:
non le pare piuttosto volgaruccio e antilogico
parlare ai “Pancho Villa”, di
“ficozze” sulla testa, di esseri di un solo sesso, di “
trinaricismo”, di
vite, dado e controdado? (non “dato”, come
ha erroneamente scritto).
Non le pare di cattivo
gusto, oltreché falso, parlare “di
ammassi cerebrali”, di obbedienza
“pronta, cieca e assoluta”? Suvvia,
signor Guareschi, ragioni un poco seriamente: è un comunista che glielo chiede.
- L’umorismo -
risponde lei - si fonda sull’esagerazione. -
E sia - rispondo
io -, ma non sulla
falsificazione e sulla malafede. Lei è
in malafede; recluta tutte le
argomentazioni più assurde e più
matusalemmiche, dà loro una veste umoristico-ironica
e le ammannisce al grosso pubblico,
che, in maggioranza, è più superficiale di quanto Lei stesso sia. Sì,
Lei è superficiale: penso che conosca il Marxismo per “sentitodire” e i
comunisti da singoli episodi. Certo
Lei, “in tutt’altre faccende
affaccendato”, non avrà mai sforzato
il cervello per leggere uno scritto di
Lenin o di Gramsci, ne s’è preso mai
la briga di osservare con serenità il
mondo operaio. Lei mentisce, sapendo di
mentire: di scarsa cultura, ha una famiglia
da mantenere, e quindi problemi economici
da risolvere. La comprendo e la
compatisco; non la giustifico, né la perdono.
d
ora un consiglio: studi, la prego, il marxismo; studi, la prego, economia politica.
Forse allora, a Dio piacendo, potrà
dare un significato esatto alla parola
“libertà”, “progresso”, “civiltà”.
E
Un
altro consiglio: non scriva più “Lettere al migliore” o al “peggiore”.
Creda, il P.C.I. si occupa di Lei proprio come un meccanico si occupa di una
vite o di un bullone. È la verità.
Cerchi, per il suo bene, di “puntualizzare” il momento storico in cui vive
il mondo: per lei e per “il postero”. Non vivrà più sulle nuvole né
scrollerà più mestamente il suo prezioso capo.
Maurizio
G.
N. B. Non
ardisco sperare che Lei pubblichi
questa mia: sarebbe troppo leale!».
No, compagno
Maurizio, tu ci chiedi troppo! Non posso pubblicare la tua lettera. Non lo posso
per mille ragioni non ultima quella del mio prestigio personale che, dalla
pubblicazione della tua lettera, verrebbe paurosamente diminuito. A parte la
faccenda che io scrivo «dato» invece di «dado» (alle volte mi avviene di
pubblicare per la mia ignoranza articoli addirittura con qualche riga capovolta)
tu metti il dito nella piaga e scopri quello che io affannosamente tento di
nascondere: sono superficiale. Tu mi capisci: io mi arrabatto a citare nei miei
scritti lunghi passi di classici italiani e stranieri, affronto problemi
astrusi, ammanto la mia prosa di orpelli retorici o mi butto verso l’ermetismo
per confondere il lettore, per dargli la sensazione che io ho una profonda base
culturale, un substrato filosofico, e tu mi smascheri e dimostri la mia
ignoranza e la mia malafede. Sarei un
incosciente a pubblicare la tua lettera. Tu hai scoperto il mio punto debole:
che Lenin e Gramsci non sono tra i miei autori preferiti, che conosco il
marxismo soltanto per sentito dire. E, questo è
grave, che conosco i comunisti soltanto attraverso i singoli episodi.
Ebbene, in tutta confidenza: è vero. Io mi son fatto il concetto che ho, dei
comunisti, attraverso singoli episodi: dal singolo episodio della corazzata
Potemkin, al singolo episodio di Trotskij, dal singolo episodio dei piani
quinquennali, al singolo episodio della Ceka, della OGPU, della NKDV. Dal
singolo episodio delle epurazioni, al singolo episodio dei campi di lavoro
obbligatorio, dal singolo episodio delle deportazioni di popolazioni intere, al
singolo episodio della democratizzazione dell’arte. Sì,
compagno Maurizio; soltanto singoli episodi ultimi dei quali i singoli
episodi della Polonia, della Lettonia, dell’Estonia, della Lituania, della
Romania, della Bulgaria, della Jugoslavia, dell’Albania. dell’Ungheria,
della Cecoslovacchia, della Finlandia, di Petkov, di Manju, di Masaryk. Sì, io
ho una conoscenza, diciamo, esclusivamente episodica dei comunisti, ma non posso certamente confessarlo ai miei lettori i quali
credono ingenuamente che io conosca il comunismo attraverso gli scritti di
Lenin, Gramsci, Grieco e del barbiere Germanetto. Se essi soltanto sospettassero
che io i comunisti li conosco attraverso episodi singoli come quello delle poche
ventine di migliaia di prigionieri italiani non usciti dai lager russi, quale
concetto si farebbero di me? Quindi, compagno Maurizio, io non posso pubblicare
la tua lettera. La quale poi è tale da mettere nell’animo dei nostri lettori
tali dubbi da orientarli decisamente verso il Fronte Comunista. Non dire che
sono sleale: ho famiglia, non posso rovinarmi la piazza! Mi fa piacere sapere
che il PCI si occupa di me proprio come un meccanico si occupa di una vite o di
un bullone: ciò non mi impedisce di avere verso di esso la naturale diffidenza
che nutre appunto verso il meccanico, il povero bullone borghese che non si sa
rassegnare di dover essere ribadito, vicino a mille altri bulloni, sul bordo
d’una lastra d’acciaio di un carro armato sovietico. Seguirò i tuoi
consigli, cercherò di puntualizzare il momento storico in cui vive il mondo.
Dopo il 18 aprile, però. Per ora debbo, assieme agli altri superficiali come
me, arrabattarmi a puntellare la trave che minaccia di
cedere schiacciando me e i miei posteri. Dopo il 18 aprile, puntellata la
trave, potrò fare l’analisi logica dello scampato pericolo.
Spiacente di non
poter pubblicare la tua lettera per le suesposte ragioni ti saluto e ti auguro
che il tuo capocellula non si accorga che tu leggi Candido. Io sono un bravo
omaccio e per non metterti nei pasticci, ho riportato soltanto l’iniziale del
tuo cognome. Come vedi, non conosco la dottrina marxista, ma conosco la carità
cristiana. Dio ti salvi dal comunismo, compagno Maurizio.
Guareschi
Ho
l’impressione di avere ritrovato in qualche scritto, anche recentemente e
nonostante i sessant’anni trascorsi, il medesimo schema linguistico, la
medesima assenza di verità, la medesima desolante, miserella sicumera del
compagno Maurizio. Forse però la mia è solo un’impressione.
Questi,
dunque, era Guareschi, uno dei più grandi scrittori italiani del secondo
dopoguerra.
Egli
fu, e lo è ancora oggi, misconosciuto dai quacquaraquà[5]
del palazzo e odiato da les idiots savants.
Ma
questo è solo un grande onore per Te, Giovannino. Riposa in pace, nel cimitero
poco affollato dei galantuomini. Gli altri non contano, sono soltanto idiots
savants e quacquaraquà.
Autore:
Ugolino
Pubblicato
il 29 luglio 2008 sul N° 139 del settimanale on line http://www.dabicesidice.it/
Scritto
il 24 luglio
2008
[1]
Tratto da: B. Gualazzini, http://www.mucchioselvaggio.net/il%20mucchio/In%20piega%20nella%20bassa/Giovaninno%20Guareschi.htm
[2]
a: Fontanelle di Roccabianca 1 maggio 1908 - w:
Cervia, Ravenna 22 luglio 1968 - http://www.Giovanninoguareschi.com/1908.htm
[3]
Les idiots savants: gli idioti sapienti sono quei soggetti che, pur
soffrendo di qualche grado, anche grave, di ritardo mentale, a volte
associato a turbe psichiche, mostrano in qualche settore un’abilità che
spicca per essere in contrasto col basso livello dell’intelligenza. Spesso
sfruttano tale capacità per millantare intellettualismo à la page e
occupare posizioni di rilievo. http://www.edizionisic.it/CITYMALA1-05-GM.htm
[4]
La presentazione, alla destra ed alla sinistra del titolo, merita cinque
minuti della vostra attenzione:“Dicono
i benpensanti che se in Italia, dal giorno
della liberazione, fossero state edificate
altrettante nuove case quanti sono stati i
nuovi giornali che hanno visto la luce, oggi il
problema della ricostruzione potrebbe considerarsi
risolto. D’altra parte
giova tener presente
che se fosse
avvenuto l’inverso,
se cioè
avessimo tanti
nuovi giornali quante sono
le nuove case costruite, oggi tipografi, cartai, giornalisti,
agenti di
pubblicità, giornalai, strilloni ecc. sarebbero costretti a ricercare una
fonte di guadagno nelle aggressioni a
mano armata. Accettate quindi serenamente
anche questo ennesimo
Tanto più che il nostro settimanale non può
preoccupare in nessun modo. Non ha infatti
la pretesa di apportare importanti riforme
alla morale o di dire una parola nuova nel campo politico.
«Candido», insomma, non ha la pretesa
di salvare l’Italia.
Questo di voler
salvare ad
ogni costo l’Italia
è stato sempre il principale vizio degli italiani
d’ogni tempo sì
che sarebbe opportuno
aggiornare i cartelli affissi
nei luoghi pubblici:
«E’ proibito
fumare e salvare l’Italia».
«Candido» va quindi considerato un giornale perfettamente inutile: va comprato
e letto con estrema indifferenza perché
lascia il tempo e i governi che trova. Perciò
leggetelo: non aggrava la situazione.”
[5]Quacquaraquà
(o quaquaraquà) s. m. e f. [voce fonosimbolica, che ricorda il verso delle
oche: cfr. quacquarare]. - Voce siciliana, ma diffusa anche altrove, con cui
si allude genericamente a chi parla troppo, quindi chiacchierone (e, nel
gergo della mafia, delatore), o anche a persona alla cui loquacità non
corrispondono capacità effettive, e perciò scarsamente affidabile:
“l’umanità... la divido in cinque categorie: gli uomini, i
mezz’uomini, gli ominicchi, i (con rispetto parlando) pigliainculo e i
quaquaraquà” (L. Sciascia). http://www.treccani.it/site/lingua_linguaggi/consultazione.htm
. Persona priva di qualsiasi dignità, inutile a sé e agli altri. - D.I.R.